In questi giorni stiamo assistendo ad un fenomeno inaspettato che sta radicalmente cambiando le nostre vite, i nostri programmi, le nostre relazioni.
Ci siamo visti faticosamente costretti a cambiare le nostre abitudini quotidiane e il Covid-19 sta lasciando il segno in ogni ambito della nostra vita: economico, sociale, relazionale, familiare, lavorativo, politico. A tutto ciò aggiungiamo le reazioni emotive che naturalmente ne conseguono: ci sentiamo impotenti, vulnerabili, soli, arrabbiati, spaventati, costretti ad affrontare un fenomeno sconosciuto e rispetto al quale ogni ipotesi e previsione è estremamente incerta.
Le stesse notizie non aiutano molto: prima troppo allarme, poi troppo poco in quanto si pensava fosse solo un’influenza, dopo è pandemia con migliaia di morti.
Come reagiamo a tutto questo?
Abbiamo un sistema di difesa innato (Porges, 2011), la parte più antica del sistema nervoso autonomo, che si attiva in tutti i vertebrati quando viene percepita una minaccia. Quando ci sentiamo minacciati infatti, il sistema nervoso autonomo ha la capacità di intercettare i pericoli dell’ambiente e fa attivare nel nostro corpo tutto quanto è necessario per proteggerci da pericolo: di tratta della cosiddetta reazione fisiologica da stress, che ci prepara all’attacco o alla fuga, al fine di garantire la nostra sopravvivenza (si tratta della classica attivazione fisiologica -aumento del battito cardiaco, fiato corto per assorbire più ossigeno, aumento della pressione arteriosa, irrigidimento dei muscoli- che ci dà le energie necessarie per poter sostenere una fuga se per esempio ci insegue un cane rabbioso).
Ma cosa succede se questo sistema viene sollecitato in modo continuo, eccessivo e peraltro in assenza di un pericolo concreto e contingente a cui fare fronte?
Il sistema rischia di disregolarsi. A questo proposito vediamo quali sono le reazioni più frequenti, anch’esse molto primitive:
- Rabbia: rientra nel meccanismo di “attacco” e nella situazione del coronavirus si trasforma in un atteggiamento aggressivo ed ostile per esempio verso i cinesi, verso i runners, verso chi ha assalito i treni per tornare al sud, verso i potenziali untori o verso il governo, con lo scopo di trovare un responsabile, un’azione malevola da condannare.
- Evitamento: rientra nel meccanismo di “fuga” e si traduce in tutti quei comportamenti di minimizzazione, sottovalutazione, negazione del pericolo, fare finta di niente o più concretamente fuga dalle città del nord.
- Immobilità: rientra nella reazione di “congelamento” e comprende tutti quei meccanismi come passare ore tra i social e la tv per restare informati o tenere costantemente d’occhio le statistiche sui contagi.
- Ansia: l’attivazione fisiologica causata dalla reazione fisiologica da stress sopra descritta non trova corrispondenza nell’effettivo comportamento per cui madre natura l’ha programmata (banalmente non possiamo assolutamente fuggire ma al contrario siamo costretti a stare fermi in casa), pertanto tutta questa energia in eccesso rimane in qualche modo in circolo, provocando un pressoché costante stato di allarme, vigilanza e attivazione (quando per esempio ci ritroviamo con una perenne tachicardia e facciamo fatica ad addormentarci).
- Resa: atteggiamento di fatalismo, gettare la spugna, abbassare la guardia senza impegnarsi più di tanto per esempio a mettere in atto le misure di protezione dal contagio.
- Bisogno di attaccamento: corsa ad abbracciare i propri cari per sentirsi protetti, al sicuro, in un ambiente familiare e rassicurante.
Se è vero che la reazione fisiologica da stress caratterizza tutti i vertebrati, gli esseri umani hanno il pensiero come peculiarità. Pertanto, tutti questi comportamenti più o meno automatici sono accompagnati da determinati pensieri, che possono fungere essi stessi da eventi stressanti stimolando il sistema nervoso autonomo.
Vediamo quali sono i pensieri più frequenti nel caso del coronavirus:
- Non ho il controllo della situazione: ovviamente ci troviamo di fronte ad una situazione del tutto nuova e incerta, in assenza di previsioni completamente attendibili o di un rimedio concreto, senza sapere quando finirà. Questo può provocare l’accentuarsi di rimuginii relativi a previsioni future catastrofiche;
- Non riesco a controllare le mie reazioni/emozioni: per alcune persone lo stare tutto il giorno in casa senza poter svolgere le normali attività che ci aiutano nella regolazione emotiva (per esempio andare in palestra o uscire con gli amici) può portare ad avvertire le emozioni in modo amplificato;
- Ho paura di morire (o che muoiano i miei cari): l’incertezza della situazione, soprattutto se unita a vissuti traumatici in cui il soggetto ha già sperimentato in passato una minaccia all’incolumità propria o altrui, può portare a percepirsi come maggiormente in pericolo o vulnerabili;
- Non so come proteggermi: essendo il contagio causato dalla vicinanza fisica ad altre persone, può portare a percepire gli altri come pericolosi, invadenti e minacciosi, soprattutto se il soggetto fa fatica già da un punto di vista simbolico a porre chiari confini nelle relazioni;
- Mi sento impotente: la sensazione di non poter fare nulla di fronte ad un pericolo può essere accentuata in chi è sopravvissuto a traumi che hanno comportato una minaccia per la vita del soggetto e in occasione dei quali non ha potuto fare nulla per mettersi al sicuro (tipicamente si tratta di chi è sopravvissuto ad un incidente o ad una catastrofe naturale). La situazione contingente può portare a rivivere la stessa sensazione di pericolo e impotenza;
- Mi sento in trappola: l’impossibilità di avere libertà di movimento e il sentirsi costretti in casa potrebbe attivare stati di ansia e rabbia molto intensi, soprattutto per chi è abituato alla strategia dell’evitamento;
- Mi sento solo: l’essere lontani dai propri cari, dalle persone che amiamo e che ci trasmettono sicurezza e protezione può portare a sentirci maggiormente vulnerabili, se abbiamo un’idea di noi per cui se siamo soli ci sentiamo più deboli o incapaci di far fronte alle sfide.
Resilienza: quali strategie di risposta?
Una cosa è certa: nonostante le nostre fragilità, nonostante il nostro passato e i traumi subiti, nonostante l’effettiva incertezza e pericolosità della situazione corrente, ciascuno di noi ha delle risorse, che vanno semplicemente scoperte e che tante volte emergono proprio quando meno ce l’aspettiamo. Quante volte, ripensando a come abbiamo affrontato certi momenti di difficoltà, ci troviamo a dirci: “Non so neanch’io come ho fatto!”.
La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo (Cantoni, 2014).
Vediamo alcune strategie che potrebbero aiutarci a far fronte a questa situazione:
- Ricercare strumenti che possano aiutarci a sentire più vicine le persone che amiamo (aumentare per esempio la frequenza delle telefonate o incontrare gli amici da remoto). Non è come vedersi di persona, ma aiuta comunque a distrarsi, a condividere vissuti e a ridimensionare le paure;
- Se non siamo soli, fare in modo che questo tempo trascorso con i nostri familiari diventi un’opportunità per curare le relazioni e fare delle attività piacevoli insieme;
- Meditare: è una pratica molto utile per imparare a convivere con le esperienze spiacevoli interne ed esterne. Come? Insegna ad approcciarsi con atteggiamento consapevole, curioso e sempre più imparziale ai nostri pensieri, alle nostre emozioni e alle reazioni fisiologiche che queste provocano, prendendoli per quello che sono e imparando man mano a dis-identificarci, cioè ad osservarli in diretta senza farci assorbire da essi.
- Tenere il corpo in movimento: si può fare yoga o svolgere esercizi fisici a corpo libero. Questo aiuta a scaricare l’attivazione fisiologica, a regolare le emozioni e ad abbassare il livello di stress;
- Dedicare del tempo ad attività piacevoli e ricreative: leggere, studiare, scrivere, suonare, cucinare, curare le piante, disegnare;
- Informarsi con buonsenso: dedicare per esempio due momenti al giorno, di un quarto d’ora ciascuno, per informarsi sugli sviluppi della situazione, scegliendo fonti attendibili. Questo aiuta a non essere esposti ad un bombardamento di informazioni che inevitabilmente crea costante allarme e attivazione.
Sicuramente non esistono ricette valide per tutti, ma è sicuramente importante per ognuno di noi imparare a riconoscere i pensieri e le emozioni che si manifestano e che potrebbero allontanarci da un’idea più razionale e realistica di noi stessi e della situazione esterna, e costruire il tempo e lo spazio per scoprire e potenziare le proprie risorse interne. Una cosa è certa: in ognuno di noi c’è una parte adulta, saggia, capace di proteggerci, consolarci e prendersi cura di noi.
Articolo scritto dalla dr.ssa Annarita Scarola, Psicologa e Psicoterapeuta
Cantoni, F. (2014). La resilienza come competenza dinamica e volitiva. Torino: Giappichelli Editore
Porges, S.W. (2001). The polyvagal theory: phylogenetic substrates of a social nervous system. International Journal of Psychophysiology, 42:123-146.