PROBLEMI SUL COSTRUTTO DELLA DISSOCIAZIONE

Negli ultimi decenni una nutrita parte della comunità scientifica ha concentrato la propria attenzione sul concetto di “dissociazione”, formulandone una molteplicità di definizioni differenti e delineando un ventaglio di strategie per il suo trattamento; l’esito di questo processo conoscitivo e descrittivo sembra essere stato tuttavia anche l’emergere di una certa confusione riguardo all’argomento, dovuta probabilmente alla varietà di impianti teorici applicati nella definizione del costrutto.

In campo clinico questa eterogeneità relativa al concetto di dissociazione ha portato ad un problema non trascurabile: nel dialogo e nel confronto fra specialisti si è giunti a riferirsi alla dissociazione intendendo di fatto cose diverse o aspetti differenti di un medesimo fenomeno. In sostanza si è finiti per chiamare cose diverse con lo stesso nome (un sintomo, una sindrome, un processo, un disturbo, una classe di disturbi) e questo ha reso difficile utilizzare il concetto, che si è indebolito nel suo significato.

Ciononostante, l’elemento unificante attualmente c’è ed è quello del trauma, riconosciuto come fattore causale ed esplicativo o come elemento anamnestico comune ai diversi disturbi caratterizzati da sintomi dissociativi.

UNA PROSPETTIVA STORICA

Già dalle sue origini il concetto di dissociazione denotava fenomeni differenti: una divisione della personalità o un suo raddoppio, una disregolazione psicologica, la presenza di personalità multiple o una scissione della personalità (Freud S., 1914). Quest’ultima definizione in particolare rappresenta una tesi ad oggi disconfermata dai più autorevoli studiosi nel campo della dissociazione, i quali sostengono che non esista un “muro invalicabile” che non consente alle parti della personalità di comunicare fra loro (scissione), poiché di fatto la pratica clinica smentisce un simile funzionamento: una strategia terapeutica che si è dimostrata particolarmente efficacie consiste infatti nel promuovere il dialogo fra le parti dissociate della personalità del paziente.

Pierre Janet, studioso della psichiatria fenomenologica che ha dato grandi frutti in ambito psicopatologico nel corso del XX secolo, nel definire l’isteria comprendeva vari segni e sintomi che potremmo agevolmente ricondurre a quella che oggi è comunemente definita dissociazione, benché lui non connotasse come dissociativo il restringimento del campo di coscienza (cioè una contrazione della consapevolezza soggettiva) che invece è ad oggi identificato da numerosi clinici come un sintomo cardine della dissociazione (Janet P., 1889).

Da quest’ultima descrizione si discosta tuttavia una parte della comunità scientifica, sostenuta in primis dall’autorevole studioso e clinico Onno van der Hart, sostenitore di un’accezione “forte” della dissociazione, definita anche “Dissociazione Strutturale”. In questa definizione moderna – e strutturale appunto – del concetto di dissociazione viene sostanzialmente definito quel processo per cui parti diverse della personalità dell’individuo percepiscono parti diverse degli stimoli ambientali, ma sempre in una prospettiva in prima persona in cui è mantenuto il senso di Sé (Van der Hart O. et al., 2011).

LA POSIZIONE DEL DSM-5

Il Manuela Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) nella sua più recente edizione ha voluto dedicare una sezione apposita ai cosiddetti “Disturbi Dissociativi”, conferendogli quindi rilevanza sul piano diagnostico e descrivendoli per la prima volta come entità psicopatologiche a sé stanti, cioè configurazioni di segni e sintomi riconducibili a quadri morbosi aventi una propria e autonoma eziologia. L’APA (American Psychiatric Association, associazione americana che si occupa di redigere e revisionare il DSM) li ha posti non casualmente nel manuale subito dopo ai “Disturbi Correlati A Eventi Traumatici E Stressanti”: nello stesso DSM, infatti, è asserito esserci “una stretta relazione tra queste classi diagnostiche” (APA, 2013, p. 335); è interessante notare che ivi è anche affermato: “tra i fattori contribuenti l’insorgenza dei disturbi da sintomi somatici rientrano le esperienze traumatiche precoci”. Parrebbe che in questo modo si sia quindi voluta delineare una classe diagnostica a sé stante e sottolineare al contempo la presenza di un filo rosso che colleghi tre importanti aree: trauma, dissociazione e corpo.

Allo stesso tempo tuttavia il DSM parla anche di “sintomi”, non solo di disturbi a sé stanti, quando fa riferimento alla derealizzazione e alla depersonalizzazione (rispettivamente la sensazione di essere staccati dalla realtà e la sensazione di essere fuori dal proprio corpo) sia nella schizofrenia che nei disturbi di personalità e altre condizioni morbose. Una simile divisione, tanto difficile quanto vischiosa soprattutto alla luce delle considerazioni iniziali del presente articolo, potrebbe derivare dalla scelta di descrivere i quadri sintomatologici attraverso aspetti puramente descrittivi e tenendo conto del criterio della durata dei sintomi, non per altre affinità più interpretative quali ad esempio i meccanismi patogenetici che pur tuttavia risultano similari.

LE TERAPIE PER I DISTURBI DISSOCIATIVI

La grande attenzione riservata negli ultimi decenni a questa problematica ha altresì contribuito al fiorire di approcci terapeutici mirati al suo trattamento; fra i più efficaci, e per questo maggiormente utilizzati in ambito clinico, si annoverano la Psicoterapia ad orientamento Cognitivo – Comportamentale (CBT) focalizzata sul trauma e l’Eye Movement Desesitization And Reprocessing (EMDR).

La Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale focalizzata sul trauma prevede un protocollo caratterizzato da tre fasi d’intervento in cui vengono applicate alcune tecniche ad hoc, quali l’esposizione (dapprima in vivo e poi immaginativa), in cui si vuole aiutare il paziente a ridurre l’intensità delle emozioni disturbanti che si presentano quando viene a contatto con la situazione temuta o gli stimoli in grado di rievocare il ricordo; generalmente si incomincia con l’esposizione, appunto, del paziente alle situazioni/stimoli ritenuti dallo stesso come debolmente attivanti, per poi passare a quelli via via percepiti come maggiormente stressanti.

Dopo aver terminato il periodo di esercizi di esposizione in vivo si procede il trattamento con l’esposizione immaginativa, in cui è richiesto al paziente di rievocare in seduta i ricordi disturbanti e con lui lavorare alla ristrutturazione delle credenze disfunzionali ad esso associate; il ricordo è rievocato dapprima saltando le parti più dolorose e mantenendo gli occhi aperti, ma successivamente il paziente lo farà tenendo gli occhi chiusi e parlando al tempo passato; in ultimo il paziente dovrà concentrarsi sul ricordo come se fosse un film che si guarda da lontano, ma narrandolo al tempo presente. In questo modo si produce un graduale effetto di desensibilizzazione dal ricordo doloroso, con conseguente beneficio.

In questo protocollo vengono anche applicate alcune tipiche tecniche per la gestione dell’ansia, quali il rilassamento muscolare progressivo, il body scan, la respirazione diaframmatica ed altre tecniche di gestione dell’attività cognitiva (Deacon B. J., 2004). 

L’ultima fase del trattamento prevede esercizi di ristrutturazione cognitiva: insieme al paziente si ricercano le distorsioni cognitive fondate sulle personali credenze negative, strutturatesi eventualmente anche durante la vita del paziente precedentemente al trauma ma che a causa di quest’ultimo hanno assunto connotazioni più rigide o maggiormente negative e disfunzionali, generando temi dolorosi che riguardano ad esempio l’affidabilità degli altri, il senso di sicurezza personale, il proprio valore ed altri significati; tali credenze e distorsioni vengono quindi discusse e modificate favorendo una maggior flessibilità e adattività ed un contenuto più oggettivo e fedele alla realtà fattuale (Beck A. T., 1975).

Un approccio di comprovata efficacia scientifica per la cura del trauma divenuto molto popolare negli ultimi anni è sicuramente quello dell’EMDR, cioè “desensibilizzazione e rielaborazione mediante i movimenti oculari”. Tale metodologia di trattamento mira alla rielaborazione di eventi traumatici o microtraumatici considerati alla base della sofferenza soggettiva del paziente, come ad esempio incidenti, abusi, calamità naturali, maltrattamenti o esperienze di trascuratezza, lutti e separazioni, ecc.

Grazie alle stimolazioni bilaterali alternate somministrate durante la rievocazione attiva da parte del paziente del ricordo target è possibile giungere ad una progressiva desensibilizzazione dallo stesso e quindi ad una graduale riduzione della carica emotiva disturbante ad esso associata (e conseguentemente anche alla remissione di altri sintomi somatici quali insonnia, dolore, somatizzazioni, ecc.).

Questo processo comporta frequentemente un’autonoma ristrutturazione da parte del paziente dei significati associati al ricordo doloroso, contribuendo in maniera efficacie alla trasformazione di simili esperienze in eventi costruttivi e in qualche modo meglio integrabili all’interno della propria storia di vita (Shapiro, 2012).

BIBLIOGRAFIA

  • American Psychiatric Association, 2013, “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – V Edizione”, R. Cortina Ed., Milano;
  • Beck A. T., 1975, “Terapia cognitiva e disturbi emotivi”. Madison, CT: International Universities Press, Inc. ISBN 0-8236-0990-1;
  • Deacon, B. J. & Abramowitz, J. S. (2004) “Cognitive and behavioral treatment for anxiety disorders: a review of meta-analytic findings” Journal of Clinical Psychology: 60, pag. 429 – 441;
  • Freud S., 1914, “Remembering, repeating and working through (Further Recommendations on the Technique of Psycho-Analysis II)”, The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, Volume XII;
  • Janet P., 1889, ““L’automatisme psychologique: Essai de psychologie expérimentale sur les formes inféreures de l’activité humaine”, Teza sa de doctorat de litere;
  • Shapiro F., 2012, “Getting past your past: take control of your life with self-help techinques from EMDR therapy”, Rodale Books;
  • Van der Hart, O., 2011, “Fantasmi nel sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale”, Raffaello Cortina Editore, Milano.

articolo scritto dal dott di Simone Sottocorno

 

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