“Anche il tempo faceva brutti scherzi…certi momenti si espandevano fino a sembrare anni, ma c’erano giorni interi avvolti in una nebbia di sgomento e dolore, dei quali non potrei raccontare nulla”

Quest’anno ci ha obbligati a fare i conti con un aspetto ineluttabile della nostra esistenza: l’imprevedibilità. Abbiamo (e stiamo) sperimentando sulla nostra pelle cosa significhi veder collassare la realtà che conoscevano, essere in qualche modo “forzati” da un evento esterno a modificare le nostre routine.

Il 2020 ci ha violentemente ricordato che non possiamo controllare tutto, che in quanto esseri umani dobbiamo sempre fare i conti con una percentuale di incertezza.

Nel susseguirsi delle nostre giornate, dei nostri fisiologici e naturali alti e bassi, accade che alcuni eventi arrivino più o meno improvvisamente scompigliando abitudini, sgretolando certezze e appigli, ribaltando la rappresentazione che abbiamo di ciò che ci circonda e di noi stessi.

Può trattarsi di diagnosi di malattie (nostra o di una persona a noi cara), lutti, separazioni, può essere la perdita di un lavoro, un abbandono, un incidente…tutti eventi che comportano un alto grado di stress. Di fronte a questi ostacoli e sfide possiamo sentirci sovrastati, in balia, fortemente minacciati e impotenti. Potremmo avvertire che le nostre risorse non sono sufficienti per affrontare in modo efficace la situazione.

Ma cosa succede di fronte a queste situazioni? Che reazioni possiamo avere?

Vi è mai capitato di fronte a situazioni particolarmente stressanti di sentirvi quasi estraniati da quello che stava succedendo?

Molti, almeno una volta nella vita, soprattutto se sottoposti a condizioni di forte stress o quando in pericolo, hanno sensazioni simili a:

  • Sentirsi come spettatori esterni di quanto stava accadendo, quasi come se si osservassero dall’esterno, come se fossero “estranei a se stessi”
  • Vedersi “dal di fuori”, come se fossero “staccati” dal proprio corpo (o da parti di esso)
  • Senso di irrealtà, come se quello che stava accadendo non fosse possibile
  • Impressione di essere all’interno di un sogno o di un film
  • Sentire che quell’evento non li riguardi, come se fossero distaccati da tutto
  • Senso di distacco dai propri pensieri, dalle proprie emozioni e sensazioni
  • Percezione di essere ovattati, come in un bolla

Chi ha sperimentato tali sensazioni sa quanto esse possano essere spaventose. Angoscia e paura prendono il sopravvento, emerge il timore che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato in sé, nella propria mente, e che si stia diventando pazzi.
Eppure non si tratta assolutamente di questo, ma ciò che non si conosce spaventa, è normale sia così.
Cerchiamo però di fare chiarezza circa queste esperienze, di esplorarle assieme, comprenderle, significarle, così che appaiano un po’ meno sovrastanti e pericolose.

Alienazione o distacco

Le diverse esperienze sopra citate sono accumunate da un aspetto importante: la compromissione momentanea della coscienza fenomenica, ovvero dell’esperienza di sé e dell’ambiente circostante in prima persona.

Approfondiamo meglio:
In tutte le opzioni viste è presente un senso di alienazione o distacco dal corpo, dalle emozioni  e dal senso di familiarità della realtà e dell’ambiente esterno. Per questo motivo parliamo di tali esperienze come di sintomi dissociativi.
Le esperienze descritte sopra possono essere raggruppate in due categorie principali, descritte da Liotti & Farina (2011):

  1. Depersonalizzazione, quando si sperimenta un’alterazione della coscienza di sé: ci si sente estraniati da se stessi e dal proprio corpo
  2. Derealizzazione, quando vi è un’alterazione dell’esperienza cosciente del mondo circostante: l’ambiente, comprese le persone, sembrano non familiari, irreali.

In entrambi casi, la naturale tendenza ad integrare le esperienze personali all’interno di un racconto di sé unitario e ordinato viene ostacolata.
Quando viviamo un forte stress o siamo esposti ad una grave minaccia, il nostro corpo e la nostra mente reagiscono in modo da farci distaccare dall’esperienza di noi stessi e dell’ambiente, un po’ come se facessimo un passo indietro rispetto a ciò che sta accedendo. Ciò implica che le capacità di riflessione e integrazione vengano momentaneamente sospese.

Cosa significa questo?

Secondo Janet, il primo ad occuparsi di questi aspetti,  le esperienze traumatiche, interrompendo le funzioni riflessive superiori, vanno a limitare 3 elementi che garantiscono la creazione di un senso coeso di sé (Janet, 2016):

  1. La sintesi personale, che permette la creazione di un senso di identità costante, il che significa poter riconoscere le esperienze personali come parti della propria storia di vita, attribuendo loro un ordine cronologico
  2. La presentificazione, che consente il mantenimento del contatto con il presente, in modo da non confonderlo con quanto accaduto in passato
  3. La funzione di realtà, che si riferisce alla possibilità di agire al fine del raggiungimento dei propri scopi, essendo consapevoli del proprio mondo interno

Dunque, quando alcune esperienze, non vengono completamente integrate all’interno del racconto di sé e del proprio senso di identità, si parla allora di dissociazione (Boon, Steele & Van Der Hart, 2013; Van Der Hart et al., 2011).

La dissociazione come continuum

Il termine dissociazione solitamente genera scompiglio. Può evocare conoscenze e informazioni raccolte da libri, notizie sentite di sfuggita, film. Alcuni magari avranno visto il film “Split” sul disturbo di personalità multipla, ora chiamata Disturbo Dissociativo dell’Identità (APA, 2013), tratto dalla biografia, scritta da Daniele Keyes, di William Stanley Milligram “Una stanza piena di gente”. Eppure questa è una visione solo parziale della dissociazione. Tutti noi facciamo esperienza di piccole esperienze dissociative nel quotidiano. Ciò accade quando ci incantiamo fissando qualcosa, quando camminando o guidando su una strada nota ci perdiamo nei nostri pensieri e non ci ricordiamo il tragitto, quando immersi in un’attività perdiamo il senso del tempo…
La dissociazione è dunque una risposta del nostro corpo e della nostra mente che si colloca lungo un continuum, ma che di per sé non ha nulla di “strano” o “anomalo”, anzi si tratta proprio di una risposta protettiva. Proviamo a capire in che senso.

“Ma è la mia mente che si ribella, che mi si ritorce contro?”
La spiegazione di come mente e corpo ci proteggono anche quando così non sembra

È importantissimo tenere a mente che, anche se abbiamo sperimentato sintomi dissociativi, la mente e il corpo non ci stanno tendendo tranelli, né si stanno ribellando. La dissociazione di per sé è una strategia volta a proteggersi dal dolore, da emozioni ed esperienze soverchianti.
Tutti gli esseri umani sono dotati di un sistema di difesa, che si attiva nelle condizioni di minaccia, quando si sentono in pericolo e devono affrontare eventi stressanti. Secondo la teoria polivagale di Porges (2018)  il nostro sistema di difesa si articola su tre livelli gerarchici (per approfondire tale tema: Un virus ci isolerà tutti? Riflessione sulle difficoltà di co-regolazione al tempo del coronavirus):

  1. Prima cerchiamo il supporto e l’aiuto di altre persone.
  2. Se questo non funziona, attiviamo delle risposte di attacco/fuga, che ci permettono di mobilitarci per affrontare il pericolo o allontanarci da esso.
  3. L’ultima possibilità, quando nessuna delle precedenti è possibile, è il collasso. Si tratta di una risposta di immobilizzazione, spegnimento e dissociazione.

La risposta di difesa del collasso non è volontaria, avviene in modo automatico, si tratta dell’estremo tentativo che il nostro corpo e la nostra mente attuano per cercare di proteggerci da condizioni fortemente avverse, in cui ci sentiamo in trappola, senza via di fuga.

Ecco spiegato come, di fronte a situazioni fortemente minacciose e sovrastanti, possa capitare di sentirsi quasi estraniati da sé e dal proprio corpo, anestetizzati, distaccati. In questo modo la nostra mente e il nostro corpo si proteggono e ci proteggono: la soglia del dolore si alza, eventi stressanti e terribili vengono immagazzinati al di fuori del racconto di sé pienamente consapevole. Tutto ciò, pur avendo un costo, permette di andare avanti, di non essere schiacciati dal peso di ciò che ci è accaduto e di andare avanti con la vita quotidiana.

Quando la dissociazione può divenire cronica?

Per alcune persone, esposte a traumi ripetuti, la dissociazione diviene quasi una risposta automatica a stimoli stressogeni o che richiamano esperienze traumatiche precedenti. Questo accade soprattutto quando si è stati esposti a traumi infantili precoci all’interno delle relazioni primarie, ovvero quando è mancata la possibilità di instaurare un legame sicuro, accogliente e affettuoso con le figure di riferimento principali (solitamente i genitori).

Quando siamo piccoli non siamo in grado di regolare in modo autonomo il nostro stato di attivazione fisiologica e le emozioni che vi si accompagnano, abbiamo bisogno che un adulto competente si sintonizzi sul nostro vissuto e lo faccia per noi. Abbiamo la necessità che qualcuno ci veda, rispecchi le nostre sensazioni, dia un significato al nostro vissuto e cerchi di riportarci ad uno stato di quiete.

Se l’adulto che si prende cura del bambino non è in grado di regolare l’attivazione fisiologica ed emotiva del bambino o diventa addirittura fonte di minaccia per il piccolo (abusi, maltrattamenti, grave trascuratezza emotiva), ecco che l’unico modo per sopravvivere risulta il distacco dal proprio vissuto, dal proprio corpo e dalle sensazioni che esso genera (Van der Kolk, 2015). Man mano la dissociazione dal proprio corpo, dall’esperienza del mondo esterno e da sé diviene una risposta sempre più automatizzata e generalizzata, viene attivata a fronte di trigger (situazioni o elementi) che si ricollegano (senza che se ne sia consapevoli) a traumi precedenti.

La risposta difensiva estrema viene così messa in atto anche in situazioni che, sul piano oggettivo, non richiederebbero una reazione così netta. Tutto ciò può limitare pesantemente la vita quotidiana, le relazioni e la possibilità di agire in modo efficace nel quotidiano.

È possibile affrontare la dissociazione laddove è diventata una risposta cronica e limitante il funzionamento quotidiano?

Se si è rimasti bloccati in risposte croniche di tipo dissociativo è possibile ci si senta quasi traditi dal proprio corpo e dalla propria mente. In primo luogo è bene tenere a mente che quei sintomi che ora ci terrorizzano sono delle risposte che probabilmente in passato ci hanno consentito di tollerare delle sensazioni soverchianti, intollerabili. Sono dunque risposte che hanno attutito l’impatto emotivo di ferite profonde, consentendoci di poter andare avanti, continuare a vivere e a crescere.

La terapia costituisce un valido aiuto per esplorare e comprendere le proprie risposte automatiche, mettendo in luce le situazioni e gli stimoli che le attivano. Lo step successivo, assolutamente fondamentale, richiede lo sviluppo di strategie efficaci per vivere nel presente, rimanendo ancorati nel qui ed ora, anche quando alcuni eventi rievocano vissuti appartenenti al passato.

In questo modo è possibile prendere confidenza con il proprio mondo interiore, guadagnare fiducia nelle proprie risorse e nella propria capacità di gestione emotiva.
A quel punto sarà possibile affrontare quegli eventi irrisolti appartenenti al passato in modo sicuro, passo dopo passo, senza venir sovrastati da quel vissuto soverchiante ingabbiato all’interno del nostro corpo e della nostra mente.

BIBLIOGRAFIA:

Boon, S,; Steele, K.; Van Der Hart, O. (2013). La dissociazione traumatica comprenderla e affrontarla. Milano: Mimesis Edizioni

Liotti, G., Farina, B. (2011). Sviluppi Traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano: Raffaello Cortina Editor

Pierre Janet, Trauma, coscienza, personalità – scritti scelti, Milano, Raffaello Cortina, 2016

Porges, S.W. (2018).La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza. Roma: Giovanni Fiorentini Editore

Van der Kolk, B. (2015). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Milano: Raffaello Cortina Editore.

 

Articolo scritto dalla dott.ssa Verdiana Valagussa psicologa e psicoterapeuta nella sede di Saronno è possibile prenotare un appuntamento per chi fosse interessato ad approfondire la tematica relativa alla dissociazione chiamando la nostra segreteria.

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