In questo articolo sarà affrontato il tema dell’autostima e per aprire l’argomento scelgo di condividere un episodio a cui ho assistito. Quotidianamente ho modo di partecipare alle interazioni tra bambini e i loro genitori, ed è per me sinceramente interessante osservare in che modo scelgono di comunicare, si scambiano sguardi, vivono le loro emozioni.
Alberto è un bambino di tre anni, sta giocando col padre e tenta di piegare una piccola tovaglia, è visibilmente concentrato, ma nonostante il suo impegno non ottiene il risultato sperato. Poco distante il padre lo osserva divertito senza intervenire, è Alberto che ad un certo punto gli chiede aiuto. Quest’ultimo gli mostra come fare spiegando minuziosamente come procedere e poi lascia nuovamente la tovaglia in mano al figlio. Alberto si rimette all’opera e dopo qualche tentativo piega il grande foulard in quattro parti, guarda il padre sorridente e fiero. Il genitore accarezzandolo gli dice: “Hai visto che ci sei riuscito da solo?”.
Tenete a mente questa sequenza, più tardi riprenderò la questione.
STIMA DI SÉ E AUTOSTIMA
I termini “stima”, “autostima”, “valore di sé”, “considerazione” e “fiducia” riferiti a se stessi, sono spesso usati come sinonimi, ma sebbene connessi tra loro è fondamentale apportare un chiarimento.
Mentre la fiducia in sé è la misura di ciò che riteniamo di essere in grado di fare, di quanto pensiamo di essere validi e capaci; l’autostima invece è la conoscenza e l’esperienza di quello che siamo, è il valore che ciascuno di noi attribuisce a se stesso. Possedere un’autostima debole e vacillante significa essere costantemente persone incerte, critiche verso di sé; mentre chi gode di una sana e buona autostima riconosce di avere un valore in quanto persona.
“Fiducia in se stessi” e “autoefficacia” si riferiscono alla percezione dell’individuo di poter fare cose specifiche bene o entro un certo standard (es. avere buone capacità relazionali, saper suonare uno strumento, trovare ottime soluzioni nelle situazioni complesse)
“Stima di sé” e “accettazione di sé”, non riguardano semplicemente le qualità che attribuiamo a noi stessi, buone o cattive che siano, quanto al valore generale che abbiamo su di noi e il valore che diamo a noi stessi.
L’ambiente oltre che le componenti genetiche, gioca un ruolo importante nello sviluppo delle opinioni che abbiamo di noi stessi. Le esperienze cruciali influenzano le convinzioni su di sé, in particolari ciò che accade precocemente nella vita: quello che abbiamo sperimentato durante l’infanzia nella nostra famiglia d’origine, nella società in cui siamo vissuti, nell’ambiente scolastico e nell’interazione tra i pari, influenza quello che pensiamo in modi che posso persistere anche nell’età adulta. Alcune esperienze, in particolare, possono contribuire a sviluppare in persone predisposte un modo di pensare a sé molto negativo.
Dunque, interagendo con le persone e gli oggetti intorno a noi, riceviamo di continuo nuove informazioni e raccogliamo nuove percezioni su di noi, che ci portano a mantenere o modificare il senso del proprio valore.
Di seguito alcune delle esperienze che potenzialmente gettano le basi per una scarsa autostima.
- Subire punizioni sistematiche, essere trascurati o abbandonati
- fallimento nel soddisfare gli standard genitoriali
- fallire nel soddisfare gli standard dei pari
- vivere con genitori particolarmente stressati o infelici
- appartenere ad un gruppo sociale sottoposto a pregiudizio
- aver vissuto esperienze negative (traumi)
COME POTER CRESCERE BAMBINI SICURI E FIDUCIOSI?
È responsabilità dei genitori in primis ma anche dei nonni, degli zii, degli insegnanti e delle figure educative favorire lo sviluppo dell’autostima nei bambini, ecco perché è importante riflettere sulle azioni e sulle parole che quotidianamente rivolgiamo loro.
Vediamo dunque quali elementi partecipano allo sviluppo di una sana e autostima.
I bambini sono differenti dagli adulti
Il primo passo da compiere per aiutare i nostri figli a sviluppare un senso di autostima è cercare di capire il modo in cui guardano il mondo e tentare di accettarlo perché indicativa della specifica fase di sviluppo. È bene ricordare che i bambini “funzionano” in modo diverso dagli adulti: non sono in grado di pensare a nessuno se non a loro stessi, trovano difficoltà a pianificare le azioni, dunque, tendono a pensare in termini semplici e concreti; inoltre, memoria e attenzione si sviluppano con l’età, tempo e spazio sono concetti molto complessi. Per questo motivo aspettative e richieste nei loro confronti devono essere adattate allo sviluppo del singolo bambino.
Ad esempio, molto genitori “puniscono” i loro figli quando questi non condividono i giochi con gli amichetti. Ma se parliamo di bambini di due, tre o quattro anni questo è assolutamente in linea con il loro sviluppo, questa prospettiva egocentrica è normale e inevitabile. Offrire al piccolo qualcosa in cambio e successivamente lodarli è un atteggiamento appropriato al suo livello perché in questo modo avrà la sensazione di ottenere qualcosa dall’accordo. Questo è quindi lo stimolo più adeguato per aiutarlo a diventare una persona sinceramente generosa.
(Attenzione: questo non significa permettere qualsiasi comportamento che questa visione egocentrica necessariamente ingenera).
Ascoltare e prendere atto dei pensieri e delle emozioni dei figli: il bisogno di essere visti
Ascoltare e offrire tutta la nostra attenzione, la nostra comprensione ed empatia, e rendere con parole compiute i loro pensieri e le loro emozioni è un modo di comunicare che li riconosciamo e li apprezziamo per come sono.
Quante volte i vostri bambini vi hanno urlato “Guardami, mamma” o “Guardami, papà”? La richiesta può sembrare banale, anzi viene spesso confusa con il bisogno di dimostrare ai genitori la propria bravura. In realtà, molto probabilmente ciò che desidera è condividere la sua esperienza perché venga confermata la sua esistenza, il suo essere visto/a, il suo sentirsi importanti per noi. Perché sentirsi degni di essere amati, accolti e capaci influisce positivamente sull’immagine che il bambino o la bambina ha di sé.“Essere visti” non è paragonabile al “essere guardati”: guardare non implica alcun impegno né tanto meno uno sforzo da parte del genitore. Ne è un esempio quando l’adulto di riferimento accompagna il figlio/la figlia ad una competizione: dall’esterno esattamente come gli altri guarda il proprio bambino o la propria bambina divertirsi, faticare, esultare o sconfortarsi. L’essere visti richiede invece responsabilità e fatica da parte dell’adulto, perciò, nella medesima situazione significa riconoscergli o riconoscerle una particolare esperienza emotiva. “Mi sei sembrato molto arrabbiato in campo” o “Nonostante la perdita ho notato il tuo impegno”, “Forse oggi non eri molto concentrata in campo, hai voglia di dirmi perché?”.
Badate bene che è altrettanto fondamentale non pronunciare giudizi negativi sui sentimenti e le idee che i vostri figli vi confidano: conoscere e accogliere non significa essere permissivi o incapaci di imporre la vostra autorevolezza, ma impartire la più grande tra le lezioni, il rispetto per sé e per gli altri.
Dunque, rafforzare nei nostri figli la convinzione di essere capaci e degni d’amore è un modo di aiutare a sentirsi bene con loro stessi. Attenzione però: dobbiamo stare attenti che le nostre espressioni d’amore non dipendano dalle loro capacità, solo l’amore incondizionato genera la base per lo sviluppo della sicurezza di sé.
Sperimentare vissuti di successo e non di fallimento
Per aumentare l’autostima nei bambini è importante che questi sperimentino il successo, la sensazione di riuscire bene in ciò che fanno. Attenzione, perché talvolta siamo noi adulti a esporre i nostri figli al “fallimento”! Come? Ogni volta che richiediamo loro un comportamento tipicamente adulto o una conquista non idonea alla sua persona o livello di maturazione. Dunque, prevedere piccole sfide o traguardi perfettamente in linea con le loro possibilità creare situazioni di apprendimento con obiettivi raggiungibili, darà la sensazione di possedere le competenze per affrontare le piccole e le grandi avventure o minacce che la vita ci riserva.
Insegnate ai vostri figli l’autonomia
Per avere stima e considerazione di sé, un bambino deve possedere un certo controllo sulla propria vita: questo significa poter prendere piccole o grandi decisioni su alcune questioni personali (a seconda dell’età), e sentire di poter controllare ciò che gli appartiene. Senza questo “ragionevole controllo” i bambini possono sentirsi stressati o inappagati perché comunichiamo loro un senso di inadeguatezza e una sensazione di incapacità.
Un controllo eccessivo o carente da parte del genitore non permette al bambino di sperimentare le proprie abilità, offrire quindi l’opportunità di esercitare un controllo ragionevole sulle questioni che lo o la coinvolgono significa stimolarli a sentirsi capaci e ad avere una buona stima di sé. Educare non significa imporre loro scelte e idee che riguardano noi e i nostri vissuti, né tanto meno correggere ciò che a noi non piace, quanto offrire gli strumenti necessari per affrontare il mondo.
Dobbiamo perciò imparare a cogliere tutti quei segnali che ci avvertono che sono capaci di controllare piccoli spazi di vita e lasciarli sperimentare, anche testando frustrazione e fatica.
PER CONCLUDERE…
Tornando all’episodio riposto all’inizio dell’articolo, potrebbe essere ora più chiaro perché questa sequenza è indicativa di ciò che favorisce una sana autostima nel bambino.
Spesso sento genitori, famigliari e educatori eccedere nei complimenti senza riconoscere nell’infante una qualità specifica o stimolare il bambino o la bambina a riflettere in ciò in cui è riuscito/a.
Esprimere una serie di “brava!” è ben diverso che dire “Brava, hai visto che hai imparato ad andare da sola sull’altalena” riferita alla nuova conquista.
Molto meglio è riconoscere e incoraggiare. Allo stesso modo, è bene specificare chiaramente un comportamento negativo.
Nello scenario descritto, il padre non ha pronunciato nessun apprezzamento, non lo ha espressamente incoraggiato ma ha saputo attendere che fosse il figlio a percepire il bisogno di aiuto (non si è sostituito né ha sottolineato la sua inadeguatezza), per poi riconoscergli il processo di apprendimento e la sua nuova abilità. Alberto, in questo modo, ha imparato una nuova competenza, ha saggiato il successo ma soprattutto ha constatato di poter affrontare nuove sfide, di essere in grado di superare le difficoltà, certo che il padre saprà sostenerlo. Non è poi questo il ruolo dei genitori?Articolo Scritto dalla dott.ssa Cristina Veronese Pedagogista