Riflettiamo sui lati positivi e negativi che un gruppo può avere sui comportamenti di un individuo dal punto di vista psicologico presentando l’esperimento di Asch come punto di partenza sulle riflessioni condotte in questo articolo.
Importanza dei gruppi
Sin dalla nostra nascita facciamo parte di una collettività divenendo membri di una comunità che coinvolge in sé diversi individui.
I gruppi a cui apparteniamo rappresentano un elemento fondamentale nello sviluppo della propria personalità e identità, si pensi ad esempio all’importanza dei gruppi nell’adolescenza.
Ognuno di noi appartenendo ad un gruppo condivide interessi personali, professionali e altro, in un processo essenziale per sentirsi realizzati come individui. Il potere del gruppo ci fa sentire protetti, forti, bene con noi stessi. Non solo, il gruppo orienta di fatto anche i nostri pensieri e il nostro comportamento.
Quante volte infatti nel dubbio abbiamo alla fine ceduto all’inerzia e all’idea rassicurante che gli altri hanno agito nello stesso modo?
E questo è uno dei poteri del gruppo: ci condiziona tanto che la socializzazione secondaria rappresenta uno degli elementi più importanti nell’apprendimento delle norme sociali.
Ma mentre ci aiuta a superare le avversità, talvolta può divenire uno scudo che ci protegge dal male che a volte noi stessi compiamo. Il problema inizia proprio quando giustifichiamo le nostre azioni dicendoci “Lo hanno fatto anche gli altri”, trasformando la nostra identità individuale in identità di gruppo. Non ci percepiamo più come persone uniche e dotate di coscienza propria, ma come parte integrante di gruppi diversi in cui talvolta ci facciamo trasportare da quello che fanno gli altri.
Questo effetto del potere del gruppo rappresenta anche un problema poiché ci permette di delegare il criterio e la responsabilità delle nostre azioni agli altri.
E la difficoltà diventa ancora maggiore quando tali comportamenti rientrano nell’antisocialità e nel non rispetto delle norme. La responsabilità non è più legata agli atti che compiamo come individui, ma in quanto membri del gruppo cui apparteniamo e in cui spartire la responsabilità tra tutti “Ho agito male, ma anche gli altri.” In questo modo, l’azione perde forza ed è considerata come meno offensiva, poiché non abbiamo contribuito solo noi alla conseguenze ma anche altre persone.
Esperimento di ASCH
Fino a che punto il pensiero della maggioranza può condizionare le nostre risposte? Asch ha risposto a tale quesito dimostrando come il peso della reazione della maggioranza sia di fatto notevole.
Lo psicologo Solomon Asch si occupò di queste tematiche con un celebre esperimento del 1951, tra i più popolari nell’ambito della psicologia sociale in relazione alla conformità di gruppo. La semplicità del metodo e la generalizzabilità delle conclusioni sono alle base degli studi che indagano le influenze dei gruppi e delle maggioranze sulle scelte e sulle percezioni del mondo di un individuo. In questo studio Asch cerca di dimostrare come gli individui si comportano, e più specificatamente se sono in grado di andare controcorrente quando sanno che la maggioranza è in errore. La richiesta ai partecipanti era di fornire la risposta più corretta a un problema. All’interno del gruppo, vi erano alcuni partecipanti in accordo nel dare una risposta palesemente sbagliata.
Tra i partecipanti ignari, un’alta percentuale diede la risposta sbagliata pur confessando che da soli avrebbero risposto diversamente.
Questo dimostra quanto sia importante come si comportano gli altri e che cosa pensano, tanto da consentirci di adattare il nostro comportamento pur di essere accettati dal gruppo. Pur essendo consapevoli di fornire una risposta sbagliata, molti partecipanti hanno comunque preferito sbagliare pur di essere “accettati” e conformi al gruppo, e questo conferma come ci comportiamo conformandoci a quello che gli altri si aspettano da noi.
Riflessioni sull’esperimento di ASCH
Il gruppo è parte di noi, in una influenza reciproca cambia noi stessi che a nostra volta influenziamo gli altri.
Da una parte migliora le nostre abilità di entrare in relazione, ci consente di scambiare informazioni e di condividere interessi. Dall’altra però l’influenza del gruppo può diluire, in alcune situazioni, anche la consapevolezza delle nostre azioni negative come ad esempio nel pensiero “Se cade uno, cadiamo tutti”.
Da questi risultati è emerso un quesito importante per la psicologia sociale: fino a che punto si può essere disposti a modificare le nostre idee, le scelte e persino le percezioni sotto l’influenza degli altri? La struttura dell’esperimento favorisce la sua generalizzazione alle situazioni quotidiane, come le attività del tempo libero in gruppo, le carriere professionali fortemente condizionate dall’opinione familiare e persino i sentimenti d’odio sociale come il razzismo o il maschilismo, e spesso la manipolazione del sistema consiste nel banalizzare alcuni aspetti della vita per ottenere la conformità dell’individuo.
Questo processo è stato definito da Solomon Asch conformismo e si riferisce proprio al modo in cui il piccolo gruppo in cui siamo inseriti influenza il nostro personale modo di vedere la realtà. Così, diventiamo più preoccupati di adeguarci al giudizio degli altri, che di esprimere la nostra opinione.
Come proteggersi dalla spinta del conformismo?
Pur volendo piacere agli altri e sentirci parte di un gruppo, ci accorgiamo di come a volte per perseguire questo obiettivo dobbiamo rinunciare alle nostre opinioni. Partendo da alcune varianti dell’esperimento sul conformismo, è possibile trovare alcune indicazioni che ci possano aiutare a sentirci liberi di esprimerci, anche quando in contraddizione con il gruppo.
1. Individuare possibili alleati
Ad esempio Asch in un esperimento ha introdotto dei volontari che non erano complici. In questa situazione la frequenza di risposte corrette è significativamente aumentata, inoltre si sono registrati anche sguardi di intesa tra tali partecipanti. Questo ci suggerisce come in ogni gruppo ci sia almeno un potenziale alleato che potrebbe pensarla come noi e tramite questo appoggio potremmo sentirci più protetti e autorizzati nella nostra idea.
2. La maggioranza non ha sempre ragione
Molti dei partecipanti alla ricerca hanno giustificato la risposta sbagliata perché, visto che tutti gli altri davano quella risposta, avevano pensato si trattassero di persone più intelligenti o meglio informate di loro. Di fronte alla maggioranza siamo più inclini ad adattarci e a mettere in discussione noi stessi. È importante ricordarsi che solo perché lo pensano in molti, non vuol dire che sia necessariamente la cosa giusta. Le nostre idee meritano di essere espresse, anche quando sono controcorrente.
3. Salviamo la faccia
Una variante dell’esperimento prevedeva che, visto che il volontario si era presentato in ritardo, avrebbe espresso al propria opinione in anonimato, ossia non ad alta voce ma silenziosamente annotata su un foglio dopo aver sentito le risposte del resto del gruppo. In questo caso, le risposte del partecipante erano giuste, pur con la medesima pressione del gruppo verso la risposta sbagliata. Questo ci spiega come a volte sia difficile mettersi esplicitamente in contrasto con gli altri in una situazione sociale, ma possiamo darci il permesso di trovare il modo per esprimere le nostre opinioni comunque sentendoci protetti dal giudizio degli altri.
4. Io non sono le mie idee
Spesso ci troviamo ad avere il pensiero automatico che Risposta sbagliata = persona sbagliata. Il punto invece è piacere agli altri per quello che sono, non per quello che faccio. Siamo tutti diversi e proprio per questo ci sono infinite possibilità di non essere d’accordo. L’accettazione passa anche dal non essere uguali, ma rispettare le opinioni discordanti.
Bibiliografia
- Asch, S. E. (1956). Studies of independence and conformity: A minority of one against a unanimous majority. Psychological Monographs, 70 (Whole no. 416)
- Asch, S. E. (1951). OF JUDGMENTS. Groups, leadership and men: Research in human relations, 177.
Articolo scritto dalla dott.ssa Pamela Ciociola psicolga presso il centro di Legnano