Il termine “complesso”, in psicologia, indica un insieme di emozioni e idee più o meno consapevoli che una persona ha relativamente al possedere o al non possedere determinate qualità, che hanno una ricaduta sulle esperienze vissute, influenzando il modo di muoversi nel mondo. Tale complesso viene vissuto con un intrinseco valore di certezza, divenendo inattaccabile e non modificabile su un piano meramente logico.

Complesso di Inferiorità

Quando si parla di complesso di inferiorità, si intende un insieme di sentimenti costanti che riguarda il non sentirsi abbastanza, il viversi con disprezzo, percependosi sempre inadeguati rispetto al mondo e agli altri.

Il termine complesso di inferiorità è stato utilizzato da Alfred Adler, psicoterapeuta e medico austriaco discepolo di Freud, all’interno delle sue teorizzazioni di psicologia individuale di inizio ‘900.

Secondo lo studioso, l’uomo nasce già sentendosi incompleto e non realizzato, con un profondo sentimento di inferiorità dato dal fatto che tutto ciò che ha di fronte è più grande, migliore e più completo.

Se questo, da un lato, può essere uno sprone per mettersi in gioco e migliorarsi costantemente, dall’altro può essere fonte di profondi disagi e fatiche nel corso nella vita. Per Adler, insomma, il sentimento di inferiorità è assolutamente normale in infanzia, ma può trasformarsi in un vero e proprio complesso in età adulta se l’individuo non riesce a liberarsi di questa percezione negativa di sé.

Possibili origini

Molteplici possono essere i motivi per i quali una persona si porta dietro questo profondo senso di inferiorità lungo il corso della propria vita. In generale riguardano l’ambiente familiare in cui il soggetto vive, i contesti nei quali è inserito, alcune caratteristiche individuali e il contesto socio-culturale. Può, ad esempio, fare la differenza l’aver ricevuto o meno sostegno e accettazione da parte dei propri genitori, che con motivazione e amore aiutano a far fronte e ad interiorizzare sia i momenti di successo sia quelli di insuccesso.

Oltre a questo, però, anche altre esperienze di vita possono impattare sul senso di sé, andando a sviluppare e alimentare il proprio senso di inferiorità. Degli esempi possono essere: l’essere cresciuti in ambienti iperprotettivi o distaccati, il non riuscire ad accettare qualche aspetto del proprio corpo, l’essere inclini ad avere evidenti reazioni ansiose che si faticano ad accettare (balbuzie, rossore, ipersudorazione, tic, …), la costante sensazione di non avere le giuste competenze per poter affrontare il mondo, l’essere troppo esigenti o ipercritici, con un focus costante solo sulle debolezze, dimenticandosi dei propri punti di forza.

Il complesso di inferiorità porta con sé anche il timore di poter essere criticati o rifiutati dagli altri, con conseguenze come la bassa autostima, l’estrema timidezza in contesti sociali fino al ritiro da essi, la fatica ad accettare di poter essere amati, il non riuscire a riconoscersi meriti e risultati, il sentirsi costantemente meno degli altri. Da adulti si possono anche sviluppare disturbi d’ansia legati per lo più al confronto con l’altro, fino al rischio di sviluppare fobia sociale, o altre condizioni cliniche analoghe, come modalità di resa causata da una costante visione di sé come inferiore e dell’altro come dominante.

Le emozioni correlate al complesso di inferiorità

Tale complesso correla con emozioni quali sfiducia, tristezza e a volte anche rabbia, che possono portare la persona ad isolarsi o, attuando un meccanismo compensatorio, ad esternare una sicurezza di facciata.

Infatti, secondo Adler, l’uomo, per poter compensare gli effetti potenzialmente dirompenti di questo complesso, cerca di sviluppare il proprio senso di superiorità: “Noi dobbiamo ricordare naturalmente, che la parola complesso unita a inferiore e superiore rappresenta semplicemente una condizione esagerata del senso d’inferiorità e dell’aspirazione alla superiorità.

Se guardiamo alle cose in questo modo si toglie il paradosso apparente di due tendenze contraddittorie esistenti nello stesso individuo. È ovvio che in quanto sentimenti normali l’aspirazione alla superiorità e il sentimento d’inferiorità siano complementari. Noi non aspireremo a essere superiore e ad aver successo se non si sentisse una certa carenza nella condizione presente” (Adler, 2012, p.85).

In questo senso, quando ci trova davanti qualcuno che a tutti i costi deve essere “migliore” di tutti in tutto, occorre provare considerare che questo possa essere solo il prodotto del bisogno di colmare il senso di inadeguatezza e inferiorità sottostanti.

“Il sentimento di inferiorità non è una malattia, è piuttosto uno stimolo per una salutare e normale aspirazione per lo sviluppo, ma, tale condizione, diviene patologica solo quando il senso d’inadeguatezza sopraffà l’individuo e, lontano così dallo stimolarlo verso l’attività utile, lo rende depresso e incapace di sviluppo” (Adler, 2012, p.89), sviluppando potenzialmente così l’idea di essere superiore, anche se non lo è, per poter mascherare sentimenti non tollerabili.

Ogni persona possiede in sé l’aspirazione ad essere superiore, intesa come ambizione ad avere successo, a migliorarsi, a voler ottenere sempre di più. Il problema si pone nel momento in cui questa aspirazione parte da presupposti non realistici e conduce a valutazioni false.

E il segreto per poter superare il complesso di inferiorità è proprio questo: ritrovare un equilibrio costruttivo tra queste due forze, lavorando per costruire la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse. In questo modo anche la stima di sé potrà divenire più equilibrata, lasciando così andare l’esigenza di sottomettersi o prevaricare l’altro.

 

Bibliografia Essenziale:

Adler, A. (2012). La scienza del vivere. Roma: Edizioni universitarie romane.

 

Articolo scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi psicologa a legnano presso il centro Interapia

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