L’essere umano è stato definito da Aristotele già nel IV secolo a.C. come un “animale sociale”, cioè un mammifero dotato della capacità di aggregarsi ad altri individui della stessa specie ed organizzare strutture sociali all’interno delle quali esprimere liberamente la propria personalità.
Le relazioni interpersonali sono quindi un elemento primario e imprescindibile del nostro essere umani, verso il quale tendiamo e che ci accompagna “dalla culla alla tomba” (cit. Bowlby J., 1982, a proposito dell’Attaccamento).
Comunicare
E’ quindi inevitabile considerare fondamentale la capacità di comunicare efficacemente con gli altri, esprimendo cioè adeguatamente le proprie emozioni/sentimenti, esprimendo e difendendo le proprie opinioni quando ci sentiamo in disaccordo, portando avanti le proprie idee e rispettando quelle degli altri, senza troppe paure o riserve mentali, al fine di coltivare una vita di relazione costruttiva ed appagante. Questo insieme di buone competenze sociali prende il nome di assertività.
Sono molteplici le circostanze quotidiane in cui siamo chiamati a confrontarci con gli altri: nell’intrattenere rapporti più o meno formali con i nostri colleghi, nel mantenere rapporti con insegnanti e/o allenatori sportivi dei nostri figli, nel relazionarci con il nostro partner o nel semplice ordinare del cibo al ristorante. Essere assertivi significa saper mantenere un comportamento adeguato e più funzionale possibile in ciascuna di queste occasioni.
Alcuni problematiche però possono frapporsi tra noi stessi e la nostra capacità di essere assertivi, su tutte quelle legate all’autostima: se la stima che abbiamo di noi stessi è troppo bassa, infatti, essa può incastrarci in sentimenti d’inferiorità nei confronti degli altri ed inibire di conseguenza i nostri comportamenti, portandoci ad arrenderci spesso di fronte al volere altrui e reprimendo i nostri desideri, compiacendo invece l’altro in cerca di approvazione e benevolenza (comportamenti non assertivi di tipo passivo); viceversa, un’autostima esagerata può condurci verso un compiacimento narcisistico di noi stessi nel quale siamo portati a trattare gli altri con ostilità, aggressività o sufficienza e scarsa considerazione, disposti a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi ed ottenere la propria gratificazione, affermandoci con violenza, minimizzando, calpestando o disconoscendo il valore altrui (comportamenti non assertivi di tipo aggressivo).
Spesso i comportamenti considerati non assertivi riguardano reazioni automatiche determinate da stati emotivi intensi e soverchianti, che non consentono all’individuo di operare delle scelte alternative; altre volte la mancanza di assertività è invece determinata da un’effettiva mancanza da parte dell’individuo di quelle abilità necessarie ad una buona interazione o al raggiungimento dei propri scopi.
Sono quindi necessarie alcune competenze di base per poter assumere un comportamento assertivo:
- La capacità di riconoscere le proprie ed altrui emozioni;
- La capacità di comunicare agli altri le nostre emozioni ed i nostri sentimenti;
- La conoscenza dei propri diritti e la capacità di avere rispetto per sé stessi e per gli altri;
- La disponibilità ad apprezzare se stessi e gli altri. Ciò implica il possesso di una buona stima di sé e la capacità di valorizzare gli aspetti positivi del comportamento altrui;
- La capacità di autodeterminarsi, decidendo liberamente ed autonomamente in merito ai propri scopi di vita. Ciò implica non solo un’immagine positiva di sé, ma anche un buon grado di fiducia e sicurezza personale.
Tali competenze, se non possedute o non sufficientemente sviluppate, si possono allenare all’interno di un vero e proprio programma, che prende appunto il nome di Training di Assertività (Bonenti D., et al., 1997).
IL TRAINING DI ASSERTIVITA’
Alberti R. E. ed Emmons M. L. (1974) concettualizzarono il primo protocollo di allenamento al comportamento assertivo; questo training si rivolgeva a tutti poiché, secondo gli autori, ciascun individuo ha il diritto di essere padrone della propria vita ed agire per il proprio interesse, esprimendo liberamente pensieri e sentimenti personali e raggiungendo un miglior livello di autostima. Solo alcuni anni più tardi Goldstein A. P. (1981) ideò dei veri e propri esercizi per implementare le competenze sociali di ciascuno, a partire da alcune competenze di base quali il guardare negli occhi l’interlocutore, formulare delle richieste, esprimere il proprio disaccordo, parlare in pubblico, rispondere alle critiche ricevute, etc.
Ad oggi il training di assertività viene impiegato soprattutto nel trattamento dei sintomi di ansia sociale e lavora sull’apprendimento e l’implementazione delle competenze necessarie ad una soddisfacente interazione con l’ambiente sociale.
Solitamente, infatti, chi presenta una marcata ansia sociale sembra non aver sviluppato un adeguato repertorio di comportamenti interpersonali adattivi, ma anzi pare aver cronicizzato una tendenza difensiva all’evitamento delle situazioni a lui temute. Come in un circolo vizioso, così, tale pattern impedisce di fatto all’individuo nel corso del tempo di diventare socialmente più competente e sentirsi maggiormente a proprio agio nelle situazioni sociali.
Se supportato e guidato da un professionista esperto tuttavia, quale è lo psicoterapeuta cognitvo-comportamentale, è possibile discutere dei propri pensieri e comportamenti sociali disfunzionali al fine di apprenderne di nuovi e più utili, valutando progressi e difficoltà emergenti passo dopo passo nel corso delle sedute, all’interno di un percorso che miri al perseguimento efficacie dei propri scopi personali ed al definitivo miglioramento della qualità della vita.
BIBLIOGRAFIA
- Alberti R. E. & Emmons M. L., 1974, “Your Perfect Right: A Guide to Assertive Behaviour”, San Luis Obispo (CA);
- Bonenti D. & Meneghelli A., 1997, “Assertività e training assertivo. Guida per l’apprendimento in ambito professionale”, Milano, Franco Angeli;
- Bowlby, J., 1982, “Costruzione e rottura dei legami affettivi”, Raffaello Cortina Editore, Milano;
- Goldstein A. P., 1981, “Structured learning therapy: Toward a psychotherapy for the poor”, New York: Academic.