Nel 2023 è stata condotta una ricerca dal Fadoi, la Federazione dei Medici Internisti Ospedalieri, presentata al 28simo Congresso nazionale. Tale indagine si basa su un campione di oltre duemila professionisti sanitari, del quale il 49,6% si dichiara in burnout. Se consideriamo le diverse professioni, il 52 %dei medici e il 45% degli infermieri si dichiara in burnout. Entrambe le popolazioni, a seguito di analisi statistiche, risultano il doppio nelle donne rispetto agli uomini, ed è riscontrabile un effetto età, per cui la percentuale sale all’aumentare di questa.

Tale ricerca, assieme ai numerosi fatti di cronaca inerenti al clima di tensione ed estrema difficoltà in ambiente ospedaliero ed ambulatoriale, mette in luce una problematica presente da molto tempo ma sempre più evidente negli ultimi anni. Il presente articolo presenta la definizione di burnout, le sue caratteristiche, il motivo per cui è prevalente per le professioni di aiuto, i segni, i sintomi ed i campanelli di allarme.

Prima apparizione del termine burnout

Tale termine ha assunto diversi significati in diversi decenni. La prima apparizione del termine “burnout” avviene nel 1930, che, nel gergo sportivo indicava l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati. Negli anni ’60 il termine veniva utilizzato per descrivere la condizione di chi abusa di sostanze psicoattive e si sente “bruciato” dal loro uso, trovandosi senza risorse, energie e motivazioni. Nel 1974 per la prima volta la parola “burnout” viene utilizzato in ambito sociosanitario da Freudenberger e viene definito come «il fallire, l’esaurirsi a causa di un’eccessiva richiesta di energia e risorse». Successivamente il concetto viene ripreso da Masclach che utilizza il termine per identificare una sindrome i cui sintomi evidenziano l’insorgere di una patologia a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione personale.

Burnout come stress lavorativo

Negli anni ‘70 inizia a consolidarsi l’idea del burnout come di una forma particolare di stress lavorativo specifico delle professioni di aiuto, cioè tutte le professioni che si occupano di assistenza di persone in situazione di medio o elevato disagio fisico o psichico,come l’infermiere, l’educatore, l’asa/oss, il medico, lo psicologo, lo psicoterapeuta, etc. Queste categorie professionali sono caratterizzate dalla centralità della relazione di aiuto, tassello indispensabile e perno intorno a cui si sviluppano tali mansioni. Infatti, nelle professioni di aiuto l’intero sguardo del professionista è rivolto all’altro, e la relazione con l’altro è la cornice entro il quale si mette in atto la professione, oltre a diventare potente strumento di assistenza, guida e cambiamento. Per tale ragione è altamente necessario che i professionisti che operano in questo settore siano formati, oltre che in modalità teorica, sullo sviluppo di competenze sociali, relazionali e di regolazione emotiva indispensabili per tali mansioni.

Nonostante il termine sia stato strettamente collegato alle professioni di aiuto, attualmente anche altre professioni sono colpite da burnout, per motivi e cause diverse da quelle che si tratteranno nel presente articolo.

Effetti del burnout

Il burnout ha diversi effetti negativi, sia sugli utenti/pazienti che sugli operatori:

  • Per l’utenza c’è un impatto negativo sulla qualità della cura ricevuta e quindi un conseguente peggiore out come.
  • Per l’operatore è riscontrabile un impatto negativo sulla sua qualità di vita, un aumento del rapporto conflittuale con i colleghi ed un aumento del tasso di assenteismo, con conseguente impatto negativo sull’economia del lavoratore e dell’azienda.
burnout e sanitari

Segni e sintomi

Maslach (1981) riconosce il burnout come una vera e propria sindrome, composta da tre fattori:

  • Esaurimento emotivo: consiste nel sentirsi emotivamente svuotato o annullato dal proprio lavoro, è dovuto alla percezione delle richieste come eccessive rispetto alle risorse disponibili. Si è l’impressione di non avere più nulla da offrire a livello emotivo. I sintomi riscontrabili, tra cui insonnia, incapacità a concentrarsi, alterazione dell’appetito, sentimenti di profonda tristezza, ansia e rabbia, sono facilmente confondibili con sintomi depressivi, per queste ragioni è indispensabile una valutazione psicodiagnostica.  Ha come risvolto l’allontanarsi del punto di vista emotivo e il distanziarsi delle proprie mansioni (assenteismo o turnover).
  • Depersonalizzazione: riguarda la risposta negativa, insensibile ed eccessivamente indifferente agli aspetti relazionali del proprio lavoro. In ambiente lavorativo è osservabile la mancanza dell’atteggiamento empatico e compassionevole che si è tenuto in condizioni di benessere. Tale fenomeno appare come il tentativo di mettere distanza tra sé e i fruitori del servizio, ignorando l’aspetto relazionale concentrandosi sull’aspetto burocratico/tecnico. La depersonalizzazione è spesso accompagnata da anedonia, isolamento sociale, cinismo e pessimismo.
  • Ridotte realizzazione professionale: questo aspetto è conseguente ai primi due. Infatti il lavoratore con esaurimento emotivo e depersonalizzazione avrà performance lavorative peggiori, e questo inciderà ulteriormente sul tono dell’umore, con comparsa di ansia legata alla preoccupazione di perdere il lavoro e ricadute sulla propria autostima globale.

L’innesco di tale situazione porta evidentemente ad una spirale negativa che può recare effetti altamente negativi sulla persona affetta, come difficoltà del sonno, pensieri suicidari, cambiamenti nelle abitudini alimentari, tensione muscolare e dolori fisici, uso e abuso di sostanze (Young, 2022). 

Cosa posso fare in caso di burnout? 

Esistono protocolli che vengono attuati a livello aziendale che perseguono l’obiettivo di ridurre il rischio di burnout nel contesto lavorativo. Tali protocolli includono indagini di screening, formazione del personale, attenzione all’ambiente lavorativo, all’orario di lavoro ed ai compiti, etc. Il lavoratore può auto osservarsi per tenere un monitoraggio costante della sua situazione di salute fisica e mentale, tenendo presente i sintomi descritti in precedenza. Può inoltre coltivare spazi di de briefing, decompressione e benessere, dentro o fuori dal contesto lavorativo (gruppi tematici, sport, meditazioni, attività all’aria aperta, etc.).

Qualora un professionista sanitario riconosca dei sintomi qui descritti, è opportuno contattare un professionista della salute mentale per una valutazione pisodiagnostica approfondita.

Sara-Angelicchio

Articolo scritto dalla dott.ssa Sara Angelicchio Psicologa e Psicoterapeuta a Saronno

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