di Simone Sottocorno
Giovedì 12 marzo 2020 il premier Giuseppe Conte, a nome del governo italiano, ha messo in atto alcune misure preventive fortemente restrittive in materia di libertà di spostamento delle persone e di riunione delle stesse anche in piccolissimi gruppi (ad eccezione dei nuclei già conviventi), al fine di contenere il più possibile l’emergenza sanitaria in atto dovuta al diffondersi del Coronavirus (Covid-19), già causa di emergenza nazionale in Cina (con più di 80.000 casi di infezione e più di 3.000 vittime).
Insomma, da qualche giorno, per 60 milioni di italiani è scattata la l’auto-quarantena preventiva presso le mura domestiche: non si esce, se non per approvvigionamento di generi alimentari, acquisti in farmacia ed altre circostanze eccezionali motivate da urgenze; persino i pochi lavoratori ancora tenuti a recarsi fisicamente sul luogo di lavoro devono munirsi di autocertificazione per poter circolare, oltre che attrezzarsi di guanti in lattice e mascherine.
Questa domiciliazione forzata, che se vissuta senza panico ed angosce irrazionali può anche riservare momenti di relax e convivialità, non necessariamente si configura per tutti come una situazione “comoda”, vediamo perché.
TROPPI LUOGHI COMUNI SUL WEB
Negli ultimi giorni, navigando su internet e sui social network, mi sono imbattuto in una serie di articolo, blog, post e forum i quali decantavano la piacevolezza ritrovata nel trascorrere molto tempo in casa con la famiglia, i vantaggi economici ed ambientali dello smart working (“lavoro intelligente” dall’inglese, espressione con cui si indica il lavoro svolto da remoto, sfruttando telefono, computer e connessione internet) e la bellezza del silenzio. All’ennesimo di questi contenuti, personalmente mi sono irritato, perché ho pensato che si stesse descrivendo una realtà iper-semplificata, edulcorata, artefatta, facendolo per altro in maniera generica ed apologetica. Ma cosa comporta autenticamente il trascorrere tutto il giorno in casa per diversi, forse molti, giorni consecutivi?
Come ogni circostanza, e forse questa maggiormente rispetto ad altre, ha una natura complessa, che consiste di numerose sfaccettature che a taluno possono risultare per lo più gradite mentre a qualcun altro sgradite, di semplice gestione o di difficile organizzazione, confortevoli o scomode, ecc. Nella fattispecie, ciascuno di noi vive situazioni differenti in contesti differenti, fisici e relazionali, che necessariamente conducono a dinamiche interpersonali e vissuti emotivi disparati; non appare pertanto corretto polarizzarsi sugli aspetti positivi dell’esperienza con un diniego di fronte alle situazioni più spiacevoli.
L’ISOLAMENTO COME FATTORE DI RISCHIO
Partendo dal presupposto che sul piano medico la quarantena viene applicata proprio in quanto fattore di protezione rispetto ad un potenziale rischio di contagio, da un punto di vista psicologico la medesima circostanza risulta invece un fattore di rischio: non si può ricercare la presenza fisica di altre persone al fine di ottenere aiuto e conforto o semplicemente compagnia, si è costretti a condividere l’intera quotidianità con i nostri conviventi anche laddove i rapporti sono difficili, per lo più si deve rinunciare all’attività sportiva (ad eccezione del jogging, se praticato da soli), si tende a mangiare in maniera più sregolata, si deve rinunciare a molte forme di svago e a tutte le forme di aggregazione sociale, ecc.
In un momento in cui avvertiamo una minaccia incombere sulla nostra esistenza e ci sentiamo quindi nella condizione di doverci proteggere da tale minaccia, attiviamo automaticamente delle risposte fisiologiche e dei sistemi motivazionali rivolti a tale scopo, con l’effetto specifico di predisporci alla ricerca protettiva e supportiva dell’altro. Viene da sé che se la possibilità di ricercare attivamente la presenza fisica di altri conspecifici per trarne protezione ed accudimento è resa di fatto impossibile o comunque fortemente ostacolata, non viene raggiunto il suddetto scopo; la conseguenza della frustrazione di tale bisogno è un aumento dell’ansia.
L’aumento dell’ansia ha la funzione di attivare ulteriormente l’individuo verso la ricerca di una soluzione alla minaccia o verso la ricerca della vicinanza protettiva e amorevole di qualcuno, ma se tale scopo viene a lungo frustrato essa può trasformarsi in panico, oppure lasciare spazio all’insinuarsi di tristezza e disperazione, collegata al senso di inattuabilità, solitudine e perdita di speranza. Si genera quindi un circolo vizioso di malessere dal quale l’individuo da solo può faticare ad uscire (Bottaccioli F., 2000).
Esistono inoltre alcune situazioni ambientali specifiche in cui gli individui si configurano come vere e proprie fasce deboli sul piano psichico, tanto da meritare una particolare menzione all’interno dell’attuale cornice sociale di emergenza.
QUALI SONO LE FASCE PIU’ DEBOLI?
Si distinguono fra coloro che possono patire maggiormente l’attuale situazione di quarantena le persone che soffrono di patologie psichiatriche, specialmente se gravi. Queste persone, sia che vivano in contesti comunitari piuttosto che al domicilio (spesso con i propri famigliari di origine, quando presenti) possono andare incontro a stati di angoscia crescenti connessi all’impossibilità di uscire, all’essere confinati in uno spazio chiuso con altre persone, rispetto alle quali possono facilmente divenire gradualmente più insofferenti e mettere in atto dinamiche relazionali disfunzionali; possono altresì scivolare in un rimuginio o in una ruminazione incessante, che amplifica gli stati emotivi di difficile gestione ed aumenta il rischio di agiti auto ed eteroaggressivi.
I familiari di queste persone, che ad oggi si ritrovano a condividere 24 ore su 24 la routine quotidiana con i propri figli o parenti sofferenti, vivono d’altra parte una condizione di elevato stress, nel tentativo di contenere emotivamente i propri cari ed al contempo essendo esposti alle loro intemperanze e richieste di accudimento spesso ambivalenti. Si può immaginare come per costoro la possibilità di tornare ad accedere ai servizi territoriali (Centri Diurni, Centri Educativi, Ambulatori Medici che al momento sono rivolti solo alle urgenze), o semplicemente ad incontrare le figure della propria rete di supporto, sia un’esigenza particolarmente viva.
Una menzione va rivolta anche a tutte quelle persone, soprattutto (ma non solo!) se anziane, che vivono sole. Costoro, nonostante i dispositivi tecnologici garantiscano un facile contatto con gli altri individui (messaggi, telefonate, videochiamate, chat, email), non hanno la possibilità di condividere un contatto fisico con nessuno, non possono guardare negli l’occhi l’altro con la stessa vicinanza emotiva del vis a vis, non possono condividere la maggior parte delle attività quotidiane ne cooperare efficacemente per la realizzazione delle faccende domestiche; risultano insomma frustrati molti bisogni connessi all’attivazione dei principali sistemi motivazionali che hanno, per stessa definizione, una base interpersonale. Questo tipo di condizione può portare senso di solitudine, noia, tristezza, frustrazione, ansia.
Un’altra categoria di persone per cui l’isolamento può più facilmente rappresentare una condizione di stress, sebbene in misura decisamente ridotta rispetto alle due categorie sopramenzionate, sono i bambini e gli adolescenti che hanno problematiche di apprendimento, che cioè sono stati diagnosticati con DSA (cioè con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento, come la Dislessia, la Disgrafia o la Discalculia ad esempio). In queste settimane stiamo assistendo ad una radicale digitalizzazione della didattica: lezioni da remoto, comunicazioni scuola-famiglia tramite e-mail, compiti assegnati tramite registro elettronico.
Per i bambini ed i ragazzi con DSA questa condizione in cui gli è richiesta una totale autonomia nella gestione dei doveri scolastici e nella gestione di sé durante i momenti di apprendimento, senza la possibilità di avere un supporto qualificato (educatori, insegnanti di sostegno) disponibile, rappresenta una difficoltà oggettiva che può divenire facilmente motivo di frustrazione, noia, ansia, rabbia e sconforto. Un analogo discorso è valido anche per quei bambini e adolescenti con una certificazione di AD/HD (Deficit di Attenzione / Disturbo da Iperattività), o di Disturbo generalizzato dello Sviluppo, o comunque tutte quelle situazioni in cui sia necessario un supporto allo studio ed al contesto (seppure virtuale) della classe.
ALCUNI CONSIGLI SU COME GESTIRE LA LUNGA PERMANENZA IN CASA
In generale non amo dispensare consigli, anche perché contrariamente a quanto si creda seguendo il senso comune, il lavoro dello Psicoterapeuta non è quello di dare consigli, bensì di aiutare le persone a trovare autonomamente le migliori soluzioni per se stesse.
In questa circostanza però dovendomi rivolgere ad un vasto pubblico e desiderando aiutare il maggior numero di persone possibile che, come me, vivono questa situazione di quarantena, intendo offrire sei suggerimenti su quali abitudini sia più funzionale mantenere in questi giorni difficili:
- Mantenetevi occupati: trascorrere il tempo a rimuginare sull’evolversi della situazione attuale rischia di mantenere o amplificare stati di ansia e preoccupazione;
- Circoscrivete a uno/due i momenti durante il giorno per consultare quotidiani e notiziari al fine di aggiornarsi sulle notizie relative al Coronavirus: se continuate a visualizzare informazioni di questo genere vi stresserete inutilmente, finendo per sentirvi angosciati;
- Fate una moderata attività fisica: anche in casa è possibile sfruttare tapis roulant o cyclette, per chi ne possiede, così come dei semplici pesi, altrimenti è possibile seguire qualche video tutorial su YouTube e cimentarsi in un po’ di stretching. I benefici dell’attività fisica sull’umore sono noti (Yapko M. D., 2002);
- Mantenete un ritmo sonno-veglia regolare: andare a dormire e svegliarsi sempre più o meno alla stessa ora contribuisce a mantenere un buon equilibrio emotivo;
- Mantenete contatti con amici e persone care utilizzando le videochiamate: fra tutti i mezzi digitali disponibili, le videochiamate sono quello in grado di offrire la miglior “vicinanza” emotiva possibile all’altro: l’integrazione udito – vista consente infatti di cogliere anche gli elementi non verbali delle comunicazioni altrui, vicariando almeno parzialmente all’impossibilità di una presenza reale;
- Se lavorate da casa, alzatevi regolarmente come se doveste andare sul posto di lavoro, eseguite la vostra routine mattutina (fate colazione, fate una doccia, vestitevi, ecc.) e poi dedicatevi alle vostre attività professionali secondo tempi regolari: lavoro – pausa – lavoro – pausa pranzo – lavoro – fine attività lavorative. Il mantenimento di questa regolarità che per quanto possibile simula la quotidianità lavorativa, rappresenta infatti uno schema comportamentale importante per il mantenimento di una buona produttività e quindi di un senso di autoefficacia personale, riducendo il senso di impotenza e di frustrazione.
BIBLIOGRAFIA
- Bottaccioli F., 2000, “Mente inquieta. Stress, ansia e depressione”, Ed. Tecniche Nuove;
- Yapko M. D., 2002, “Rompere gli schemi della depressione”, Ed. Hoepli.