“Ho tenuto duro per tutto il fine settimana, sono stata brava, non ho risposto e non mi sono arrabbiata. Mi hanno anche fatto i complimenti per quanto io sia stata brava nel non rispondere alle provocazioni e alle cattiverie che mi venivano dette … Poi sono tornata a casa e mi sono abbuffata …” [F.]
Per quanto in generale il cibo rappresenti il nostro carburante, ovvero ciò che ci permette di vivere e affrontare le diverse sfide della vita, e il senso di fame il segnale che è ora di fare rifornimento, spesso assume anche tutt’altro significato. Come emerge dalle parole di F., paziente con diagnosi di Binge eating disorder che seguo, capita a volte che il cibo diventi un mezzo per gestire e alleviare emozioni quali stress, rabbia, noia, tristezza o solitudine, quasi al pari della sigaretta per un fumatore. Si parla in questo caso di fame nervosa o fame emotiva (dall’inglese emotional eating).
Per quanto l’utilizzo consolatorio del cibo fosse un tema trattato e studiato già prima del 2020, con l’avvento della pandemia di quell’anno, l’attenzione verso questo disturbo, e più in generale verso i disturbi dell’alimentazione, è notevolmente aumentata. Durante quel periodo, infatti, ci si è trovati costretti in casa, da soli o in compagnia sempre delle stesse persone (che spesso non si era nemmeno abituati ad avere intorno per così tanto tempo), sperimentando emozioni e sensazioni di difficile gestione e non incanalabili in molti altri modi: per molti il cibo è così diventato l’unica valvola di sfogo possibile e praticabile, fino a portare all’esacerbazione di disturbi alimentari spesso già in precedenza presenti, ma non ancora scatenati.
Cos’è la fame emotiva
Il termine fame emotiva indica il comportamento per cui si utilizza il cibo come strumento per far fronte ad un’emozione spiacevole, o anche piacevole quando percepita come troppo intensa, che altrimenti risulta ingestibile.
La fame emotiva, quindi, corrisponde ad un cambiamento nel comportamento alimentare di una persona in risposta a stimoli emotivi soverchianti. Il mangiare viene così visto come unico modo per fare fronte alla tristezza di un momento, per evitare di sostare nella noia o anche per placare agitazione o rabbia. In altri casi, proprio come al pari di una sigaretta, può essere anche usato come unica modalità legittima per fermarsi e concedersi una pausa. In tutti questi casi, la persona si trova così a mangiare non per soddisfare un bisogno fisiologico, ma per gestire quanto percepito. In altri termini, l’atto del mangiare diviene un modo per reagire a ciò che viene provato a livello emotivo, regolandolo.
Il meccanismo biopsicosociale della fame emotiva
Alcuni studi scientifici si sono occupati di indagare e studiare il ruolo dello stress per quanto riguarda l’influenza che ha sul comportamento alimentare.
Lo stress, soprattutto quando cronico, sembra provocare una modifica biologica a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), andando ad agire sul rilascio di ormoni deputati
proprio al controllo del senso di fame. Il maggiore rilascio di cortisolo, infatti, provoca, tra altre funzioni, l’aumento dell’appetito e anche una modifica a livello della scelta di alimenti piuttosto che altri. Il rilascio di cortisolo, avendo anche il ruolo di preparare la persona ad una reazione di fronte ad un potenziale pericolo, spinge ad una maggiore assunzione di cibi maggiormente calorici, e quindi nutritivi, carichi di e grassi e zuccheri.
L’assunzione di cibo appetibile (il cosiddetto comfort food), inoltre, provoca anche una una riduzione della percezione di stress: l’aumento dei livelli di zucchero nel sangue provoca una sensazione istantanea di benessere, sebbene di brevissima durata.
L’esposizione prolungata e continua a stress potrebbe così causare la cosiddetta fame emotiva, innescata da segnali che stimolano da un lato il rilascio di cortisolo , che spinge ad assumere cibo e dall’altro dal rilascio di dopamina, in seguito all’assunzione dello stesso, che, teoricamente, dovrebbe attivare sensazioni positive di piacere.
Ciò che accade, però, è che in seguito a svariati episodi di fame emotiva, la persona inizi a sentirsi in colpa per quanto mangiato, senza provare alcunché di positivo. Questo innescherebbe un circolo vizioso di episodi di fame emotiva nel tentativo di sfuggire a tali sensazioni spiacevoli elicitate prima dallo stimolo stressogeno in sè e poi direttamente dall’episodio di alimentazione incontrollata.
Proprio a tal proposito, infatti, ulteriori studi hanno dimostrato come il ricorso alla fame emotiva rappresenti un fattore di rischio per lo sviluppo di veri e propri disturbi alimentari quali il Binge eating disorder (Disturbo da alimentazione incontrollata) e la Bulimia nervosa.
Tale rischio sembra essere molto più presente in coloro i quali mostrano una scarsa consapevolezza emotiva, che potrebbero scambiare per fame e sazietà sensazioni che in realtà sono emotive. Ad esempio, il senso di “pugno allo stomaco” in seguito ad un evento spiacevole potrebbe essere confuso come fame.
Un altro elemento che potenzialmente influenza le abitudini alimentari e il significato assunto dal cibo è anche l’educazione alimentare ricevuta nel corso della propria infanzia: non è raro che ai bambini si regali cibo come ricompensa per i propri successi o come consolazione in momenti di difficoltà, iniziando così a creare un legame tra emozioni e cibo come modalità di gestione delle stesse. A volte, fin dalla primissima infanzia, può anche capitare che i genitori interpretino in modo sistematicamente erroneo le manifestazioni di disagio del figlio, leggendo tutto come segnale di fame da placare, anche quando invece può indicare tutt’altro. In questo caso, il tipo di risposta che il bambino ottiene, non sintonizzata con i bisogni espressi, facilita lo sviluppo di una fatica a riconoscere le proprie emozioni e a scambiarle per fame.
Come distinguere la fame emotiva dalla fame fisiologica
Benché la percezione di fame emotiva sia analoga, a livello di vissuto fisico, a quella fisiologica, è possibile distinguerla da quest’ultima grazie ad alcuni elementi.
Il senso di fame che insorge per carenza di nutrienti, ovvero la fame fisiologica, compare solitamente in modo graduale e non viene percepita come impellente (a meno di non essere a digiuno da tanto tempo). I segnali percepiti sono prettamente fisici: borbottii e fitte allo stomaco ne sono un esempio. Questo tipo di fame suscita la voglia di mangiare qualsiasi tipo
di cibo senza differenze di sorta, con l’obiettivo di riempire lo stomaco, soddisfacendo così la fame e smettendo di alimentarsi nel momento in cui il corpo ha ottenuto ciò di cui aveva bisogno per continuare a funzionare in modo ottimale.
Al contrario, la fame emotiva compare all’improvviso, non proviene dallo stomaco e viene vissuta come irrefrenabile, urgente: non permette quasi di pensare ad altro e richiede soddisfazione immediata attraverso l’assunzione di cibi ben specifici (solitamente ad alto contenuto di zuccheri e grassi). È anche un tipo di fame che “rende ciechi”: si mangia senza pensare, senza gustare veramente ciò che si sta mangiando e senza prestare attenzione a quando si è sazi.
Più si mangia e più si vuole mangiare, spesso fino a sentirsi pieni a tal punto da stare male sia fisicamente sia emotivamente per vergogna, senso di colpa e impotenza per la difficoltà a far fronte ai problemi in modo costruttivo. Questi sentimenti, nonché il non aver né compreso né risolto i sentimenti alla base del bisogno di cibo, generano frustrazione e ulteriore malessere, che riporta al disagio iniziale, bloccati in un circolo vizioso in cui non si affronta il bisogno iniziale e si mettono in atto strategie di risoluzione fittizie che fanno stare ancora peggio.
Come si caratterizza chi mangia per fame emotiva?
Coloro i quali mangiano per far fronte alle proprie emozioni, quando non altrimenti gestibili, si caratterizzano, in linea molto generale, per la tendenza a mangiare quanto si percepiscono tesi o stressati, sovraccaricati da impegni e incombenze. Questa modalità di mangiare si accompagna spesso ad una perdita di controllo e di consapevolezza di cosa o quanto si stia ingerendo (sensazione di mangiare quasi in trance), andando ben oltre il senso di sazietà, con l’obiettivo di tornare a sentirsi felici e sereni (cibo come mezzo necessario per stare bene).
Il cibo rischia così di diventare un a vera e propria ossessione, ciò a cui si pensa durante tutto il giorno per la maggior parte dei giorni, indipendentemente dal senso o meno di fame, finendo anche con il mangiare e sgranocchiare costantemente qualcosa.
Una conseguenza che potenzialmente può accompagnare questo tipo di comportamento alimentare è anche l’acquisizione di peso o la fatica nel perderlo, principalmente per fatica a ridimensionale l’assunzione di certi tipi ci cibo (quelli percepiti come necessari per sentirsi meglio e far fronte alle emozioni scomode che si provano).
Come affrontare la fame emotiva
In base a come si è delineata la fame emotiva, appare evidente come in prima istanza rappresenti un problema di tipo psicologico legato al riconoscimento e alla gestione delle proprie emozioni.
Ciò che occorre fare, quindi, per poter comprendere prima e affrontare poi il problema di alimentazione nervosa, deve necessariamente iniziare con la presa di coscienza e l’accettazione che questo sia effettivamente un problema personale e che, come tale, possa essere risolto, da soli o con l’aiuto di un professionista della salute e del benessere mentale.
Una volta fatto ciò, si cerca di capire in quali circostanze si verifichino di episodi di alimentazione emotiva, quando sono iniziati, cosa fa sì che accadano, ogni quanto accadono
e come: ripercorrere a storia del problema aiuta a delinearlo, a conoscerlo e a iniziare a dargli un senso, togliendogli il potere legato alla sensazione del “non so perché o quando accade, accade e basta”. Per poter fare ciò, può inizialmente essere utile tenere un diario alimentare, prendendo nota di cosa di mangia e quando, di cosa si provava o succedeva prima e di cosa si prova o si fa dopo aver mangiato, in modo da iniziare a percepire collegamenti e costanti, imparando anche a distinguere la fame biologica da quella emotiva.
Un altro aspetto utile e fondamentale è la ricostruzione della propria storia alimentare, cercando di risalire alla radice del problema, ovvero a quando il cibo ha iniziato a diventare il rifugio da emozioni faticose e come mai proprio in quel periodo di vita.
A questo tipo di lavoro, sarebbe bene accompagnarne anche uno di educazione emotiva, imparando a riconoscere le proprie emozioni, ad accoglierle e accettarle come proprie, per poter reagire poi nel miglior modo possibile, affrontandole direttamente, senza più sentire il bisogno di evitarle, sopprimerle e (non) gestirle con il ricorso al cibo.
Come aiutarsi nel quotidiano
Per quanto la fame emotiva, come detto poc’anzi, sia una questione prettamente psicologica legata al riconoscimento e alla gestione delle proprie emozioni e, per questo, richieda un lavoro mirato con il sostegno di professionisti, questo richiede tempo. Ciò che si può invece iniziare a fare fin da subito, è adottare qualche accorgimento per poter correre meno il rischio di adottare tale modalità di gestione emotiva in automatico e senza darsi tempo e spazio per vagliare delle alternative.
Per poter fare ciò, può essere utile tenere a portata di mano il meno possibile quegli alimenti a cui si ricorre più spesso in situazioni di difficoltà, cercando di limitare il consumo di alimenti ricchi di zuccheri e di non saltare i pasti, ma, anzi, di mangiare in un modo il più regolare possibile per evitare picchi glicemici subitanei, responsabili di attacchi di fame improvvisi.
In questo modo, lo stretto legame automatico tra emozioni faticose e ricorso al cibo può pian piano allentarsi, permettendo alla persona di inserire uno spazio di pensiero tra il senso di fame e l’azione del mangiare. In questo spazio diviene così anche possibile sperimentare nuove modalità di reazione e comportamento: una passeggiata all’aria aperta, la lettura di un libro, qualche minuto di meditazione, cercare conforto in una chiacchierata con qualcuno di significativo, una coccola che ci si dedica possono essere degli esempi di azioni potenzialmente utili al pari, se non maggiormente, del ricordo al cibo in casi di emozioni spiacevoli e impegnative da gestire.
Per potersi aiutare nella regolazione delle proprie abitudini alimentari, affinché possano supportare e sostenere al meglio il proprio stile di vita e il proprio fabbisogno energetico, è sempre bene rivolgersi anche ad un nutrizionista specializzato, soprattutto quando non si sa bene come fare e quando la fame emotiva ha preso a tal punto il sopravvento da non avere più idea di cosa sia realmente nutrimento e cosa no. In questi casi, altrimenti, il fai da te rischia di creare squilibri a livello di nutrienti, andando a complicare ancora di più la gestione della fame emotiva.
Conclusioni
La fame emotiva tende ad essere automatica e subitanea. Con il tempo si diventa molto bravi a sceglierla e soddisfarla in automatico piuttosto che accettare e guardare ciò che veramente si prova e sente, a tal punto che spesso si finisce con il non essere nemmeno più consapevoli di ciò che veramente si prova in risposta agli eventi di vita.
Proprio per questo, la fame emotiva si contrasta e si supera imparando a prendersi un momento per fermarsi a riflettere, a capire e mettere a fuoco cosa sta succedendo e come ci si sente, chiedersi come mai si sente l’impulso di mangiare, realizzare che non è veramente fame fisica e provare a mettere in alto modalità di gestione alternativa.
Non importa se poi si mangia lo stesso o meno, ciò che importa è iniziare a fermarsi e provare a darsi delle alternative laddove alternative sembrano non essere mai esistite, passando dall’azione non pensata all’azione consapevole.
Nel momento in cui questi comportamenti diventano eccessivi e vengono percepiti come soverchianti, quando ci si sente bloccati in una spirale senza fine, quando non si riesce a vedere la possibilità di avere un’alternativa, quando si vuole stare meglio con se stessi e con gli altri, è bene chiede aiuto ad uno psicologo psicoterapeuta che possa accompagnare in questa riscoperta consapevole di sé.
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Articolo scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi