“Chi non ha sofferto, non sa niente:
non conosce né il bene né il male,
non conosce gli uomini,
non conosce sé stesso.”
– François de Salignac de La Mothe-Fénelon –
COS’E’ LA DEPRESSIONE
Nel DSM-V viene fatto riferimento ai disturbi depressivi attraverso una classificazione che individua tre principali manifestazioni, ciascuna con le proprie peculiari caratteristiche (APA, 2014):
- il Disturbo Depressivo Maggiore (o Depressione Unipolare), caratterizzato da un umore deflesso in modo persistente, per la maggior parte del giorno da almeno sei mesi, perdita di piacere nella maggior parte delle attività quotidiane, perdita o aumento dell’appetito con conseguente diminuzione o incremento del peso corporeo, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, mancanza di energie, tendenza all’autosvalutazione o sensi di colpa, ridotta capacità di concentrazione e ideazione suicidaria;
- il Disturbo Depressivo Persistente (o Distimia), che si connota per una durata temporale di due anni con presenza di sintomi depressivi, che finiscono per incidere in maniera significativa e duratura sull’autostima e sull’affettività di base caratterizzata da senso di disperazione o appiattimento affettivo;
- il Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato, in cui sono presenti alcuni sintomi depressivi per almeno sei mesi, che causano un disagio clinicamente significativo ma che non sono sufficienti a descrivere un Disturbo Depressivo Maggiore o Persistente. E’ questo ad esempio il caso in cui l’individuo manifesta deflessione del tono dell’umore, irritabilità e anedonia, ma non presenta alterazioni dell’appetito o del ritmo sonno-veglia.
I disturbi depressivi possono inoltre includere alcune alterazioni specifiche dell’affettività, come nel caso della presenza di ansia che è frequentemente associata a simili problematiche e che configura il cosiddetto “Stato Misto”, oppure un’elevazione del tono dell’umore in chiave ipomaniacale o maniacale, fattori questi che espongono ad un maggiore rischio di sviluppare un Disturbo Bipolare; è possibile anche che siano presenti sintomi di tipo psicotico quali deliri o allucinazioni, dando luogo quindi ad una “Depressione Psicotica”.
In queste situazioni diventa particolarmente importante per il clinico effettuare una corretta diagnosi differenziale, al fine di impostare il trattamento più indicato, sia di tipo psicoterapico che farmacologico.
QUALI CAUSE DELLA DEPRESSIONE
Ad oggi non è chiara l’eziologia dei disturbi depressivi, anche se è noto che concorrano fattori di ordine ereditario (gli individui con familiarità di disturbi dell’affettività hanno un rischio doppio di sviluppare un disturbo depressivo), di ordine epigenetico in quanto alcuni meccanismi biologici concorrono nel determinare la risposta individuale ad eventi di vita avversi, ed appunto di ordine ambientale, come ad esempio eventi di vita negativi in particolare legati al tema della perdita (lutti, perdite economiche, malattie e quindi perdita dello stato di salute, ecc..).
Solitamente un singolo evento di vita avverso non esacerba un disordine depressivo, se non in coloro che patiscono già una condizione di vulnerabilità psicologica.
Numerose evidenze scientifiche hanno addotto negli ultimi decenni prove a sostegno di un’alterazione funzionale nei livelli neurotrasmettitoriale in questi soggetti, in particolare a carico della serotonina ma anche della dopamina e della noradrenalina, neurotrasmettitori questi che risultano altamente coinvolti nella regolazione affettiva. Questo modello eziologico dei disturbi depressivi prende il nome di “Ipotesi Serotononinergica”, poiché è la serotonina il neurotrasmettitore che gioca il ruolo più incisivo (Marazziti D. et al., 2013).
I SINTOMI FISICI DELLA DEPRESSIONE
Naturalmente la depressione è una condizione esistenziale che coinvolge l’individuo nella sua totalità, mente e corpo. La prima è invasa da pensieri negativi che insorgono spontaneamente al campo di coscienza e vengono infatti definiti Negative Automatic Thoughts (NATs), cioè Pensieri Negativi Automatici, che emergono – per così dire – senza una volontarietà da parte del soggetto; simili pensieri finiscono spesso per proliferare e generare quella tipica attività mentale depressiva: la ruminazione, cioè un processo cognitivo caratterizzato da uno stile di pensiero disfunzionale e maladattivo, che si focalizza principalmente sugli stati emotivi negativi interni (sensazioni fisiche spiacevoli e affetti dolorosi) e sulle loro conseguenze negative (Martino et al., 2013), mantenendo o addirittura amplificando emozioni e sentimenti depressivi quali sconforto, tristezza e angoscia.
Sebbene la mente rappresenti la dimensione all’interno della quale si manifesta in modo ineluttabile la sofferenza individuale, il corpo non è certo un’estensione meno sofferente o importante.
E’ infatti proprio a livello fisico che si rivelano quei sintomi spesso giudicati più penosi ed invalidanti: l’abulia, cioè la mancanza di energie che si esprime in un senso di spossatezza e stanchezza costante, costringendo spesso l’individuo a letto e rendendo qualsiasi azione quotidiana faticosa e gravosa; l’insonnia, ossia una disfunzione del ritmo sonno-veglia, tipicamente caratterizzata in queste condizioni da un risveglio precoce (insonnia terminale) ed una conseguente maggior stanchezza durante il giorno, in un circolo vizioso con l’anedonia cioè la perdita di piacere nell’esecuzione di quelle attività altrimenti percepite come gradevoli; la perdita di appetito o il suo incremento, che esitano in una diminuzione o in un aumento ponderale e quindi in un cambiamento della propria forma fisica, con ricadute importanti sulla propria immagine corporea che può alimentare i già presenti sentimenti di sconforto, colpa e fallimento personale; somatizzazioni anche invalidanti come le cefalee, che talvolta rappresentano una conversione di dolori emotivi laceranti e ruminazione esasperata; l’espressione facciale che muta irrimediabilmente in una maschera dagli occhi languidi, la bocca imbronciata, la fronte aggrottata e le gote solcate dalle lacrime, segnale interpersonale di un bisogno di accudimento, cioè di vicinanza e conforto da parte di un conspecifico. In definitiva, il corpo tutto diviene una sorta di tempio della sofferenza nel quale si consuma la propria tragedia personale.
A volte, inoltre, i sintomi depressivi sono causati proprio da disturbi fisici, come ad esempio nel caso tumori, ictus, AIDS, morbo di Parkinson, malattie neurodegenerative, etc.; è quindi in questi casi la perdita della salute fisica ad innescare la sofferenza emotiva, poiché provoca una profonda modificazione della propria rappresentazione di sé verso una più debole e vulnerabile, con un conseguente scompenso del proprio “tema di vita doloroso” così come descritto dalla Life themes and plans Implications of biased Beliefes: Elicitation and Treatment, nel suo acronimo LIBET (Ruggero G. M., 2013).
IL CORPO NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE
Volendo prendere in considerazione il ruolo del soma, cioè del corpo, all’interno del trattamento della depressione per quanto indicato dalle linee guida OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e NICE (National Institute for Healt and Care Excellence) (NICE, 2009), cioè attraverso una terapia integrata di Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale e farmacoterapia a base di SSRI, risulta evidente come il corpo abbia un ruolo centrale:
- Nella Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale si ricorre, fra le varie tecniche, alla pianificazione di un programma quotidiano di attività: in sintesi si tratta di riattivarsi sul piano comportamentale, poiché coloro che soffrono di depressione tendono a ridurre significativamente le proprie faccende, soprattutto quelle piacevoli. E’ utile quindi programmare alcune attività attraverso la realizzazione di un elenco da stilare insieme al terapeuta (Minelli A., 2011);
- Studi recenti illustrano l’importanza dell’attività fisica accostata alla TCC nel trattamento della depressione: fare sport stimola il rilascio di due fondamentali neuromediatori: acetilcolina ed endorfine (molecole in grado di generare sensazioni di benessere e sollievo dal dolore), motivo per cui vengono definiti “ormoni della felicità” (Trivedi et al., 2006);
- La terapia farmacologica agisce direttamente, a livello chimico, sul soma, modulando la concentrazione di specifici neurotrasmettitori al fine di ottenere un miglioramento del tono dell’umore. Simili modificazioni di tipo funzionale dell’attività neuronale, nel tempo possono tradursi in modificazioni strutturali delle reti neurali, procurando un beneficio anche successivo alla sospensione della terapia. Il medesimo effetto si realizza anche con la psicoterapia, attraverso il colloquio clinico.
E’ quindi evidente come anche nella sintomatologia depressiva e nel suo trattamento acquisisca un ruolo determinante il corpo, benché il senso comune anche in ambito clinico tenda a suggerire che il primato sia quello cognitivo, cioè della mente.
Una maggiore consapevolezza dell’importanza di non operare una scissione mente – corpo (tipica nella società occidentale a partire dall’epoca moderna), atta a restituire un maggiore equilibrio nella concettualizzazione del caso e nella programmazione del trattamento può garantire una maggiore efficacia dello stesso per simili condizioni morbose.
BIBLIOGRAFIA
- American Psychiatric Association, 2014, “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – V Edizione”, R. Cortina Ed., Milano;
- Marazziti D. et al., 2013, “Nuovi sviluppi dell’ipotesi serotoninergica della depressione:
shunt del triptofano”, Riv. di Psichiatria, 48(1), pag. 23 – 34;
- Martino et al., 2013, “Collera e ruminazione mentale”, Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 19(3), 341 – 354;
- Minelli A., 2011, “Efficacia della psicoterapia cognitivo-comportamentale associata a terapia psicofarmacologica nella depressione. Revisione della letteratura metanalitica”, Rivista di Psichiatria, 46(1), pag. 18 – 23;
- National Institute for Healt and Care Excellence – NICE, 2009, “Depression in adults: recognition and management”, www.nice.org/uk/guidance/cg90;
- Ruggero G. M. et al., 2013, “Il colloquio in psicoterapia cognitiva”, Raffaello Cortina Ed., Milano;
- Trivedi M. H. et al., 2006, “Exercise as an augmentation strategy for treatment of major depression”, Journal of Psychiatric Practice, 12(4), pag. 205 – 213.
Articolo scritto dal dott. Simone Sottocorno