In Occidente, quando qualcosa si rompe, si è soliti utilizzare della colla trasparente per ricomporre i pezzi così da nascondere le crepe. Oppure ancora sostituirlo con qualcosa di simile, ma nuovo.
Il pensiero sottostante a tale abitudine è che ci sia qualcosa di vergognoso e di indegno in una rottura. Tale concetto può essere metaforicamente traslato anche alle relazioni interpersonali – sentimentali o amicali – andando così a spiegare comportamenti come l’evitamento e atteggiamenti rancorosi quando si verifica un conflitto o si crede di aver subito un torto.
Rimanere imprigionati dentro le emozioni
Spesso si rimane imprigionati dentro ad emozioni di rabbia e risentimento per diverso tempo giustificando la gabbia d’odio che costruiamo con il concetto di “giustizia”.
In oriente, invece, quando qualcosa si rompe le crepe vengono valorizzate con materiali preziosi – solitamente oro – così da donare una nuova vita e una nuova storia a quell’oggetto.
Si tratta della tecnica di restauro nota con il nome di Kintsugi, un’antica arte giapponese di riparazione degli oggetti che hanno subito danni. I termini “kin” (oro) e “tsugi” (riparazione) indicano pertanto la tecnica di “riparare con l’oro”: l’oggetto sottoposto al restauro risulta impreziosito e assume un carattere di unicità divenendo una vera e propria opera d’arte.
La metafora del Kintsugi: un viaggio verso la valorizzazione di sé
L’arte del Kintsugi può essere utilizzata metaforicamente per indicare tutte quelle situazioni nelle quali sentendoci a pezzi scegliamo di lavorare con impegno e costanza sulle ferite così da generare un cambiamento funzionale. Così come il Kintsugi consente il recupero e la valorizzazione di un oggetto rotto, allo stesso modo una persona può affrontare le proprie ferite e con soddisfazione mostrare le cicatrici all’interno di un percorso di cura del sé e di riscoperta del proprio valore.
Affrontare l’accaduto
Affrontare quanto ci è accaduto – che si tratti di un lutto, un trauma, la fine di una relazione ecc. – consente al soggetto di individuare nuovi significati e interpretazioni alternative che andranno a confluire in una narrazione dell’evento più funzionale e sostenibile. Affrontare il dolore è fondamentale per rielaborare quanto occorso e permettere al nostro cervello di integrare aspetti diversi di quell’esperienza così da individuare anche nuove soluzioni.
Evitare situazioni, emozioni e persone connesse ad un evento spiacevole concorre a determinare un aumento dell’emotività negativa (rabbia, frustrazione, tristezza) e l’insorgenza di sintomi psicopatologici (ad esempio ansia, umore deflesso, autosvalutazione e bassa autostima o pensieri paranoici).
Evitamento
L’evitamento – includendo anche il non affrontare situazioni ancora aperte, sottrarsi al confronto con un’altra persona o accondiscendendo senza portare il proprio vissuto, reprimere le proprie emozioni– è uno dei fattori che maggiormente influisce nel mantenere vivi sintomi e disagio. Evitare una situazione che ci genera ansia, infatti, nell’immediato porta ad una riduzione di quest’ultima dal momento che si sceglie di non fare quella cosa, a lungo termine però la alimenta in quanto ci accorgeremo di non aver risolto il problema continuando a provare emozioni spiacevoli.
Esempio di evitamento
Facciamo un esempio. Marco, dopo aver scoperto di essere stato tradito dalla fidanzata, decide di chiudere la relazione senza cercare un effettivo confronto con lei, ma agendo spinto da rabbia e vergogna. Nelle settimane successive Marco continua a rimuginare su quanto accaduto e a darsi colpe arrivando a considerare sé stesso come “inutile o non degno” e a provare disperazione e sconforto. Marco non racconta a nessuno quanto accaduto, evita confronti e quando possibile preferisce restare a casa a pensare. La rabbia nei confronti della fidanzata aumenta sfociando in risentimento e odio.
La metafora del Kintsugi
È a questo punto che la metafora del Kintsugi arriva in nostro soccorso: Marco può scegliere di continuare a crogiolarsi nella disperazione e nel risentimento, oppure può scegliere di compiere un lavoro su di sé sviluppando la propria capacità di resilienza e trasformando le proprie ferite in punti di forza in un percorso di superamento. La presa di coscienza del dolore è il primo passo per prendersi cura delle proprie ferite perché, se ci si limita a mascherarle o a nasconderle, potrebbero prima o poi riaprirsi o peggio non cicatrizzare mai. Attraversare il dolore e sforzarsi di rileggere la propria storia con altre “lenti”, ovvero individuando interpretazioni alternative, è ciò che ci permette di rialzarci.
Ricomporre i pezzi saldandoli con l’oro implica prendersi cura di quell’oggetto danneggiato, analogamente è necessario che Marco ricominci a prendersi cura di sé smettendo di vedersi come un “oggetto difettoso”, quanto impegnandosi per ritrovare il proprio valore. Puntare nuovamente su di sé e sulle proprie potenzialità.
Percorso di Psicoterapia
Un percorso di psicoterapia aiuta le persone che si sentono “a pezzi” ad affrontare e superare gli eventi critici che stanno vivendo incoraggiandoli e guidandoli a distanziarsi da comportamenti poco funzionali adottando schemi nuovi.
Nel percorso di psicoterapia il professionista accompagna la persona nella costruzione di una nuova realtà, ricomponendo le sue parti interne e valorizzando le sofferenze, con lo scopo di far emergere e rafforzare le sue risorse.
La possibilità del perdono
All’interno del lento processo di valorizzazione delle proprie cicatrici e di superamento del dolore, una soluzione possibile è rappresentata dal perdono. Perdono inteso come alternativa al rancore, come tendere verso un cambiamento finalizzato al superamento di quello stato di malessere.
Si può credere che perdonare voglia dire dimenticare o abbassare la testa davanti ad un’ingiustizia subita lasciando vincere chi ci ha ferito. Il perdono, invece, è la scelta di ricordare l’offesa senza esserne sopraffatti e senza ruminare continuamente. Perdonare non è sinonimo di giustificare: quando una persona perdona, identifica chiaramente il comportamento dell’altro come moralmente sbagliato, ma accetta l’altro e riconosce il suo valore intrinseco nonostante l’offesa e soprattutto guardando se stesso riesce a vedere molto altro oltre al ruolo di “vittima”.
Il perdono è un graduale processo di cambiamento in cui la vittima diventa sempre meno negativamente disposta verso l’offensore riuscendo a cogliere che chi gli ha arrecato il danno non è il danno stesso. La vittima ha bisogno di vedere il colpevole in nuovi modi per poter così rispondere con nuove strategie: il perdono inizia con un lavoro cognitivo volto ad ampliare la prospettiva su chi ci ha offeso e individuare spiegazioni alternative. Ciò rende possibili trasformazioni emotive che includano la comparsa di empatia e compassione verso chi ci ha ferito. Aprirsi a emozioni nuove differenti da rabbia e risentimento ci aiuta a ridurre la ruminazione e quindi a prendere le distanze da quanto accaduto. Iniziare a vedere il perdono come un dono che siamo in grado di fare sia a chi ci ha ferito che a noi stessi: regalarsi la possibilità di uscire dalla posizione di vittima per tornare ad essere molto di più dell’ingiustizia subita.
Kintsugi e Restorative Justice
La tecnica del Kintsugi trova applicazione anche all’interno del mondo della Giustizia attraverso il paradigma della Restorative Justice (Giustizia riparativa). Scopo della giustizia riparativa è quello di ricercare soluzioni ai conflitti che abbiano un contenuto volto a riparare il danno o l’offesa derivanti dal reato, i cui effetti investono sia la vittima che il colpevole sia la società. Molte nozioni di giustizia riparativa sono incentrate proprio sul ripristino della relazione sociale tra autore, vittima e comunità. La nuova visione adottata dalla giustizia riparativa è quella di ovviare alla “logica del castigo” individuando forme di riparazione del danno che vedano attivamente coinvolti sia la vittima che il reo in un processo di riparazione condivisa della relazione. Si tratta di una mediazione extragiudiziale nella quale il reo, riconoscendo di aver causato un danno e dichiarandosi disponibile a rimediare, dà alla vittima la possibilità di sentirsi vista nel proprio dolore e tornare a percepire di avere controllo così da poter superare quella ferita.
Bibliografia e sitografia:
- Celini Santini. Kintsugi. L’arte segreta di riparare la vita. Rizzoli 2022.
- Fehr, R., Gelfand, M. J., & Nag, M. (2010). The road to forgiveness: A meta-analytic synthesis of its situational and dispositional correlates. Psychological Bulletin, 136, 894 –914. doi:10.1037/a0019993
- McCullough, M. E., Pargament, K. I., & Thoresen, C. E. (Eds.). (2000). Forgiveness: Theory, research, and practice. New York, NY: Guilford Press
- Barcaccia B, Mancini F (a cura di): “Teoria e clinica del perdono”, Raffaello Cortina Editore, 2013.
- Il Diritto.it “La giustizia riparativa. Questione definitoria e orientamenti”.
Articolo a cura della dott.ssa Serena Baj Psicologa e Psicoterapeuta presso la sede di Saronno del Centro InTerapia