Spesso capita di sperimentare il timore di non riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati e di sperimentare un senso di fallimento. Da dove arriva questa sensazione e cosa implica?
Il senso di fallimento ha spesso radici nella propria storia di vita, tutti noi “impariamo” a funzionare in un determinato modo, che può renderci più sensibili ad alcune sensazioni sgradevoli piuttosto che ad altre. Per affrontare il tema della paura di fallimento bisogna innanzitutto distinguere il sano timore che può accompagnarci nella ricerca di raggiungere un obiettivo desiderato, da una paura disfunzionale che rischia di interferire con la qualità di vita o con il raggiungimento di tale obiettivo.
Fallire in un compito specifico rischia di generare sofferenza nel momento in cui alla propria prestazione si associa una convinzione su di sé e non si riesce a riconoscere che il proprio valore personale come non può essere messo in discussione da ciò che concretamente riusciamo o non riusciamo a raggiungere; il rischio è quello di associare un dato di fatto “ho fallito in un compito” ad un giudizio su di sé “sono un fallimento”. Ecco quindi che fallire in qualcosa può assumere un significato diverso per ciascuno, per esempio sentirsi incapace, sentirsi senza valore, sentirsi inadeguato, sentirsi non amabile, ecc.
Quando davanti ad un obiettivo sorge il timore di fallire, ne conseguono tipicamente emozioni come la preoccupazione e l’ansia; un livello di ansia funzionale è quello che permette di concentrarsi sul raggiungimento dello scopo che la persona si pone e attivarsi in tale direzione, mentre, un livello di ansia disfunzionale è quello che porta ad una eccessiva attivazione, che rende difficile alla persona mantenere uno stato ottimale per potersi muovere verso gli obiettivi desiderati. Nel momento in cui la persona si trova a sperimentare forte ansia in relazione ad un obiettivo da raggiungere, a causa dei pensieri sottostanti, potrebbe mettere in atto principalmente due meccanismi disfunzionali: l’evitamento e la ricerca di perfezionismo.
L’evitamento si riferisce ad un insieme di strategie volte ad allontanarsi da una minaccia percepita, in questo caso dal rischio di fallire, ritirandosi, non mettendosi cioè nella situazione potenzialmente rischiosa, arrivando a rinunciare a quanto desiderato. Il rischio è la persona non riesca ad esporsi alle situazioni e lasci che questo meccanismo si irrigidisca fino ad interferire con la qualità di vita, con conseguenti emozioni di tristezza e/o rabbia nel momento in cui l’individuo raggiunge la consapevolezza di quanto tutto questo stia condizionando o abbia condizionato le sue scelte di vita.
Il perfezionismo, invece, consiste nel tentativo di rendere le cose impeccabili, prive di errori, con eccessiva preoccupazione per i dettagli e la precisione, senza considerare vie di mezzo, con il rischio di procrastinare e “perdere tempo”, fino a che, per esempio, la preparazione o l’elaborato, non sembreranno perfetti al punto giusto. Tuttavia, la perfezione è un’aspirazione irraggiungibile, per cui porterà la persona a sperimentare ancora maggiore ansia, frustrazione e rabbia.
Più l’intensità e la frequenza di queste emozioni causa di sofferenza aumentano, più aumenta il rischio di irrigidire i comportamenti disfunzionali, che a loro volta incrementano il vissuto emotivo di sofferenza, mantenendo la persona bloccata all’interno di un circolo vizioso.
È fondamentale rendersi conto di quali meccanismi si attivano dentro di noi e raggiungere una consapevolezza sul proprio funzionamento, che permetta di individuare le vulnerabilità e le strategie più o meno adattive apprese ed utilizzate fino ad oggi. Solo in seguito si potrà intervenire per modificare queste strategie, andare a modificare, in questo caso, i comportamenti, come l’evitamento e il perfezionismo, messi in atto per gestire la paura del fallimento, e mettere in discussione il significato che un fallimento può assumere a livello personale.
Articolo a cura della dott.ssa Gazzotti Maria psicologa presso il centro di Saronno