L’attacco di panico è una reazione di ansia di fronte ad una minaccia di pericolo, accompagnata da determinate manifestazioni somatiche e da vari pensieri irrazionali, come la paura di impazzire o di morire.
Si tratta di ansia e non di paura in quanto, sebbene la reazione fisiologica tra le due situazioni sia pressoché uguale, la paura si manifesta di fronte ad una minaccia reale, concreta e contingente, mentre l’ansia si manifesta di fronte ad un pericolo immaginato, ipotizzato, generalmente collocato nel tempo futuro e meno chiaro e definito, proprio come accade nell’attacco di panico.
La principale caratteristica dell’attacco di panico è infatti la paura della paura, cioè la paura di non riuscire a sopportare e superare un’intensa reazione di ansia: il pericolo percepito non è più esterno, ma è costituito dall’ansia stessa.
Di fronte a un segnale di allerta il nostro corpo si prepara a fuggire o a combattere (a questo serve la reazione fisiologica della paura, provocata in modo automatico dall’attivazione del sistema autonomo). Durante un attacco di panico invece, il normale meccanismo del cervello per reagire a una minaccia percepita viene usato in modo improprio e quindi si manifesta in assenza di un reale ed effettivo pericolo (Siegel, 2013).
Durante un attacco di panico dunque, ovvero un’intensa ansia in assenza di una vera minaccia esterna, il nostro cervello utilizza impropriamente il normale meccanismo che serve per reagire ad una minaccia. Questo accade perché, come abbiamo visto, non ci sentiamo minacciati solo da pericoli concreti e contingenti ma anche da pericoli immaginati e ipotizzati.
Un attacco di panico può essere correlato ad uno stimolo o ad una situazione ben precisa o può essere inaspettato e improvviso come un fulmine a ciel sereno; può verificarsi come episodio isolato o può essere accompagnato da altri episodi: in tal caso di parla di disturbo da attacchi di panico (Asmundson et Al., 2014).
Solitamente gli attacchi di panico, poiché sono improvvisi e inaspettati, generano forte angoscia e impotenza e sono solitamente accompagnati da paure e pensieri irrazionali come morire, svenire, perdere il controllo, impazzire o fare brutta figura davanti agli altri.
Vediamo più nel dettaglio quali sono i sintomi dell’attacco di panico secondo il Manuale Diagnostico e Statistico del Disturbi Mentali (DSM 5):
- Palpitazioni o accelerazione del battito cardiaco;
- Sudorazione;
- Tremori o irrigidimento muscolare;
- Dispnea o senso di soffocamento;
- Sensazione di asfissia;
- Dolore o fastidio al petto;
- Nausea o disturbi addominali;
- Sensazione di vertigini o di svenimento;
- Brividi o vampate di calore;
- Sensazioni di torpore o formicolio agli arti;
- Sensazione di irrealtà o di distacco da se stessi;
- Paura di perdere il controllo o di impazzire;
- Paura di morire.
Solitamente le persone rispondono a questo disagio evitando le possibili situazioni e i potenziali contesti in cui ipotizzano che un attacco di panico possa verificarsi (solitamente luoghi molto affollati o situazioni in cui non può esserci una scappatoia immediata qualora dovesse succedere, come per esempio i mezzi di trasporto), oppure mettendo in atto comportamenti protettivi come uscire sempre con qualcuno o tenere a portata di mano i numeri utili da contattare in caso di bisogno o non allontanarsi oltre una certa distanza da casa.
Sebbene in prima battuta questi comportamenti potrebbero sembrare efficaci, in realtà sono molto limitanti perché a lungo andare la persona si sente sempre più privata della propria libertà ed è costretta a rivedere le proprie abitudini e a ridurre nettamente la propria vita sociale e lavorativa.
La paura di impazzire in altre psicopatologie
La paura di impazzire, sebbene emerga in modo più predominante durante un episodio di attacco di panico tanto da essere uno dei sintomi specifici su cui si basa questa diagnosi, può essere più sottilmente presente anche in altre psicopatologie, intesa come paura di non riuscire ad avere il controllo sui propri pensieri, sulle proprie emozioni e sui propri comportamenti.
Vediamo più dettagliatamente come questo accade:
- Nel disturbo d’ansia generalizzata la sensazione di perdita di controllo riguarda principalmente i propri pensieri, in quanto un sintomo caratteristico di questa diagnosi è il rimuginio, cioè uno stato di preoccupazione costante ed eccessivo, sproporzionato rispetto alla realtà dei fatti. La persona che rimugina ha la sensazione di non poter in alcun modo controllare o interrompere il rimuginio, nonostante le conseguenze negative che questo crea (mente costantemente occupata da pensieri catastrofici, stato di continua irrequietezza e ipervigilanza, costante affaticamento, difficoltà di concentrazione e di memoria, irritabilità, alterazioni nel ciclo sonno-veglia e nell’appetito, disturbi gastrointestinali, tensione muscolare).
- Nel disturbo ossessivo compulsivo la sensazione di perdita di controllo riguarda i pensieri e i comportamenti. Tale diagnosi infatti prevede due elementi caratteristici: ossessioni, cioè pensieri, impulsi o immagini mentali che vengono percepite come sgradevoli e intrusive dalla persona che le sperimenta, e compulsioni, cioè comportamenti compensatori e ripetitivi che la persona sente il bisogno di mettere in atto per alleviare il disagio che deriva dai pensieri ossessivi. Le persone che soffrono di questo disturbo si sentono impotenti e prive di strumenti per poter controllare sia i pensieri che i comportamenti compulsivi conseguenti.
- Nel caso di una fobia specifica, ovvero lo sperimentare una paura sproporzionata ed irrazionale di fronte ad un elemento specifico (oggetto, situazione, luogo, animale), ci può essere la sensazione di perdita di controllo quando ci si trova proprio di fronte all’oggetto della propria paura, poiché quando la persona si trova di fronte allo stimolo fobico ha una reazione di terrore inspiegabile e spropositato, con conseguente tendenza all’evitamento dello stimolo.
- Anche nei casi di disregolazione emotiva, ovvero di persone che fanno fatica a regolare il livello di intensità nella manifestazione delle proprie emozioni eccedendo per eccesso, ci può essere una sensazione di perdita di controllo. Questo è vero in modo particolare per le persone che tendono a manifestare in modo eccessivo la propria rabbia, in quanto spesso hanno la percezione di non riuscire ad avere controllo sia, appunto, sull’intensità dell’emozione sperimentata sia sul comportamento che di conseguenza mettono in atto per cercare di gestirla come per esempio, nel caso specifico della rabbia, comportamenti aggressivi come urlare, lanciare o rompere oggetti o picchiare altre persone. Queste persone tendono a sentirsi completamente in balia delle proprie emozioni e dei propri comportamenti, in quanto vengono percepiti come delle reazioni impulsive ad un’emozione che non si riesce in alcun modo a regolare o controllare.
Tuttavia le persone che tendono alla disregolazione emotiva, generalmente provano in modo più intenso non solo la rabbia ma anche altre emozioni, come per esempio la tristezza, tendente allo stato depressivo se provata in modo eccessivo, o l’euforia, che è la versione più estrema dell’emozione della gioia.
Anche qui ci può essere una sensazione di perdita di controllo sia quando si sperimentano le emozioni sopra descritte, in quanto la persona si sente incapace di gestire l’emozione e di liberarsi dal forte stato di sofferenza che questa comporta (anche nel caso dell’euforia ci può essere un risvolto negativo attinente al tema della perdita di controllo, poiché la persone tende, spinta appunto dallo stato emotivo, a mettere in atto comportamenti che possono risultare dannosi per se stessa e per gli altri), sia nel passaggio generalmente repentino e incontrollabile da uno stato emotivo all’altro.
Come intervenire
Nel caso specifico degli attacchi di panico, il trattamento raccomandato dalle linee guida prevede la somministrazione di una terapia farmacologia, accompagnata da un percorso di psicoterapia.
I farmaci devono essere assunti in modo assiduo per almeno dodici mesi prima della riduzione del sintomo, per evitare una possibile ricaduta (Locke et Al., 2015).
Tuttavia il connubio tra farmaci e psicoterapia sembra essere il più indicato anche per il trattamento delle altre psicopatologie menzionate, in quanto il farmaco dà una sensazione di sollievo più immediata andando ad agire in modo diretto sul sintomo, che risulta quindi alleviato già in breve tempo; mentre la psicoterapia è utile per cercare di comprendere in modo più approfondito le cause dell’insorgenza del sintomo, che vanno ricercate nella storia della persona, nella sua struttura di personalità, nel modo in cui entra in relazione con se stessa e con gli altri, nel contesto di vita in cui è cresciuta e in cui vive attualmente, nelle varie esperienze fatte.
Questa maggiore consapevolezza di sé e del proprio funzionamento porta al potenziamento di nuove risorse e ad un cambiamento più profondo della struttura della persona, del suo modo di pensare e di agire, in modo tale che non senta più il bisogno di ricorrere agli schemi di pensiero e di comportamento disfunzionali che causano sofferenza e che hanno portato di conseguenza allo sviluppo del sintomo, il quale trova in questo modo una risoluzione meno superficiale di quanto i farmaci possano fare e più stabile nel corso del tempo.
Articolo scritto dalla dr.ssa Annarita Scarola, Psicologa e Psicoterapeuta
Asmundson, G.J., Taylor, S., Smits, J.A. (2014). Panic disorder and agoraphobia: an overview and commentary on DSM-5 changes. Depress Anxiety, 31(6):480-6.
Locke, A.B., Kirst, N., Shultz, C. (2015). Diagnosis and management of generalized anxiety disorder and panic disorder in adults. Am Fam Physician, 91(9):617-24.
Siegel, D.J. (2013). La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Milano: Raffaele Cortina.