La Sindrome da Alienazione Genitoriale, conosciuta anche con l’acronimo PAS (Parental Alienation Syndrom) è uno dei temi più controversi all’interno del diritto di famiglia.
Definizione di Sindrome da Alienazione Genitoriale
Riprendendo la definizione proposta da Gardner, il quale ha coniato il termine nel lontano 1985 sistematizzandone la descrizione, consterebbe in “un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello”, o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. E’ proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile”.
Alienazione Genitoriale come forma di manipolazione
Dalla descrizione fornita dall’autore emerge una forma di manipolazione da parte di uno dei due genitori nei confonti del figlio tale per cui lo stesso, senza giusta causa, mostra una forma di disprezzo, di astio ingiustificato nei confronti dell’altro genitore, pur apparendo quest’ultimo adeguato. Tale alienazione si inserirebbe all’interno di situazioni di cogenitorialità evidentemente disfunzionali, contraddistinte da un elevato livello di conflittualità, all’interno del quale un genitore terrebbe sotto scacco l’altro attraverso un processo di strumentalizzazione del minore medesimo, per cui il figlio diviene strumento per esercitare il “mobbing genitoriale”.
Alienazione Genitoriale e separazioni giudiziali
Tuttavia la teoria proposta da Gardner è stata ampiamente contestata dal mondo accademico-scientifico: tale definizione, infatti, parrebbe indicare una condotta intenzionale, consapevole del genitore così definito alienante, aspetto di difficile rilevazione nei contesti che ravvisiamo in ambito di separazioni giudiziali, in cui emerge una maggiore inconsapevolezza, seppur le conseguenze non siano per tale ragione meno pregiudizievoli per il minore.
Sentenza di Cassazione
Tele costrutto è altresì molto dibattuto all’interno della aule di Tribunale. Basti pensare ad una recente sentenza di Cassazione che ha accolto il ricorso di una madre contro la decisione assunta dalla Corte di Appello di Venezia che, nel 2017, aveva disposto l’affidamento del figlio minore in via esclusiva al padre ex art. 337 quater c.c., previo collocamento temporaneo in comunità. Tale decisione è stata assunta a fronte di una valutazione specialistica indicante “un conflitto di lealtà nella prole, che può dare fondamento alla diagnosi di alienazione del figlio nei confronti del padre”, rilevando inoltre “condotte tendenti ad escludere l’altro genitore e sovrapporre gli ambiti dell’affettività propria a quella del minore”.
Alienazione Genitoriale non sufficiente per l’affidamento
D’altro canto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che nella sentenza impugnata non vi fossero convincenti argomentazioni sull’inidoneità della madre all’affidamento, ritenendo l’alienazione riferita non sufficiente per l’emissione di un affidamento esclusivo in capo al padre. Ciò a fronte dell’assenza di indicazioni chiare in ambito scientifico sulla diagnosi di PAS, non riconosciuta dall’Orgaizzazione Mondiale della Sanità.
L’assenza di solidità scientifica della diagnosi di tale presunto disturbo, attinente la sfera relazionale ed affettiva, ha pertanto contotto la Cassazione a ritenere che i Consulenti che la sostengono, al fine di dimostrare che un genitore ha allontanato il figlio dall’altro genitore, compiono una “devianza della scienza medica ufficiale”.
Interesse del minore
Fa da sé che una tale sentenza di Cassazione ha creato un importante precedente. La Cassazione è inoltre intervenuta, facendo proprio il principio del superiore interesse del minore, sottolineando la necessità di valutare caso per caso, e anche a fronte di un presunto comportamento alienante di un genitore ciò non può essere ritenuto un deterrente per l’allontanamento del minore.
E’ inoltre inevitabile domandarsi se sia realmente la soluzione migliore per il minore essere costretto a vedere l’altro genitore, se sia funzionale per il suo percorso psico-evolutivo e di sostegno alla relazione verso il genitore medesimo. D’altro canto, la presenza di una posizione rifiutante “ingiustificata” da parte del minore nei confronti di uno dei due genitori, implica la necessità di mantenimento e attivazione di una serie di meccanismi psichici che possono ostacolare lo sviluppo psichico sano del minore.
Tale modalità, infatti, nasce all’interno di un contesto familiare contraddistinto da un elevato livello di conflittualità genitoriale, contraddistinto da distorsioni della realtà fondanti le ragioni dell’uno e dell’altro genitore. Una tale dinamica, contraddistinta da un pensiero critico fortemente limitato, può condurre nel minore ad una forma di distorsione dell’esame di realtà, aspetto che può divenire stabile ed estendersi negli altri ambiti della vita del minore medesimo.
Valutazione dell’Alienazione Genitoriale
Elemento sicuramente centrale all’interno delle valutazioni che devono essere condotte al fine di promuovere un progetto sul nucleo il più personalizzato e rispondente ai bisogni specifici, attiene la valutazione del rifiuto del minore stesso sull’asse giustificato/non giustificato.
Tale valutazione clinica dovrà comprendere non solo un accertamento accurato del funzionamenrto del genitore alienato, al fine da escludere la presenza di tratti, caratteristiche o comportamenti che possano giustificare il rifiuto adottato dal minore (basti pensare a tutte quelle condotte fisicamente o psichicamente violente), ma anche dell’intero nucleo familiare, atto ad una identificazione delle dinamiche interne allo stesso.
Altro elemento che deve divenire inevitabilmente oggetto di valutazione attiene l’atteggiamento e posizione assunta dal genitore cosiddetto alienante, facendo particolare attenzione a modalità volte a giustificare, avallare, normalizzare o minimizzare l’entità del rifiuto posto in campo dal figlio nei confronti dell’altro genitore. Altresì non devono essere sottovalutate quelle situazione in cui il genitore affermi di essere disposto a supportare il ripristino relazionale del figlio con l’altro genitore, ma d’altro canto affermi di essere impotente a fronte del rifiuto posto in campo dal figlio, a cui viene delegata una responsabilità impropria all’interno della dinamica.
Responsabilità da entrambi i genitori
In tal senso, e in maniera trasversale, il posizionamento del costrutto di responsabilità da parte di entrambi i genitori risulta pregnante al fine della comprensione del funzionamento interno al nucleo familiare: la dimensione di delega al figlio, così come situazioni in cui il concetto di comprensione del rifiuto appaia assumere la valenza di giustificazione dello stesso, implicando chiaramente una dimensione di esternalizzazione della problematica, si traduce in quanto tale in una deresponsabilizzazione del genitore e dunque conseguente promozione del movimento espulsivo verso l’altro genitore.
Rifiuto del figlio e fenomeno di allienazione
Da tali precisazioni emerge chiaramente come il rifiuto del figlio verso uno dei due genitori non può fermarsi ad una mera esplicitazione di un fenomeno di alienazione, ma richiede una valutazione complessa che gli psicologi che operano in ambito giurifico devono applicare, attraverso un’analisi del funzionamento interno all’intero nucleo familiare, la cui dimensione del rifiuto non è altro che la punta dell’iceberg.
E’ necessario identificare fragilità e punti di forza di ogni membro della famiglia così come del nucleo familiare nel suo insieme, in cui ogni singolo fattore deve essere considerato nella sua individualità ma anche in relazione agli altri, ed è proprio su tale relazione che lo psicologo è chiamato ad esprimersi, mantenendo come linea guida fondamentale il superiore interesse del minore.
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Bibliografia
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Sitografia
- www.altalex.it
- www.brocardi.it