In quanto esseri senzienti e pensanti, veniamo costantemente attraversati da innumerevoli pensieri. Spesso piacevoli o neutri, ma molte volte ci si ritrova presi anche da una molteplicità di pensieri faticosi e spiacevoli.
Preoccupazioni, paure, previsioni catastrofiche, paranoie, timori relativi a ciò che potrebbe o non potrebbe accadere, pensieri di vergogna, inadeguatezza e fallimento sono solo alcuni dei pensieri tutt’altro che piacevoli che la nostra mente potrebbe produrre.
Qualcuno potrebbe percepirsi come dotato di una mente disfunzionale, che “rema contro”, ma la verità è che questa tipologia di pensieri sono tutt’altro che anomali: la nostra mentre si è evoluta proprio per permettere la sopravvivenza e la salvaguardia della persona e, per poter fare ciò, giudica, indaga, compara, ipotizza, riflette con l’obiettivo di prepararsi per prevenire il peggio ed evitare che accadano brutte esperienze.
Tuttavia, può capitare che questo meccanismo filogeneticamente volto alla sopravvivenza si inceppi e che i pensieri spiacevoli prendano il sopravvento, bloccando la persona nella sua capacità di agire e influenzandone lo stato d’animo a tal punto da non riuscire più a perseguire scopi e obiettivi. Può capitare, insomma, che la persona finisca con il sentirsi a tal punto ingabbiata in questo vortice di pensieri catastrofici e distruttivi da non sentirsi più in grado di fare alcunché.
Come avviene per molti altri aspetti del funzionamento umano, anche i pensieri negativi diventano un problema solo nel momento in cui influiscono sulla qualità della vita e non permettono di fare ciò che la persona vorrebbe.
La tecnica della defusione cognitiva, formulata all’interno della Acceptance and Commitment Therapy (ACT) di Steven Hayes, può aiutare a superare proprio questa tendenza a rimanere bloccati a causa di pensieri negativi.
La capacità di distaccarsi dai propri pensieri o defusione
Uno dei temi fondamentali dell’ACT è proprio il concetto secondo il quale i pensieri non sono altro che concetti nella nostra mente, non certo fatti e verità concrete e immutabili, e che, in quanto tali, rappresentano solo modi di interpretare la realtà, di leggere ciò che accade e conferirgli un significato; proprio per questo, tali pensieri possono essere modificati, privati di potere o comunque resi meno assoluti, in modo da poter ridirezionare l’attenzione e dedicarsi a ciò che si ritiene essere veramente importante e di valore.
Harris definisce la fusione come quell’atto che consiste nel rimanere intrappolati nei propri pensieri, permettendo loro di dominare la consapevolezza e di influenzare largamente il comportamento. Al contrario, il processo terapeutico definito defusione, consiste nel comprendere la vera natura dei pensieri, rispondendo ad essi in basse alla loro utilità.
In altri termini, possedere un’abilità di defusione significa riuscire a guardare i pensieri e non lasciarsi guardare dagli stessi, riuscire a notarli per come vanno e vengono senza sentirsi intrappolati in essi e riuscendo ad operare una valutazione critica dei propri presupposti.
Nel momento in cui ci si fonde con un pensiero, infatti, si perde il contatto con il momento presente, con l’esperienza nel qui ed ora: ci si ritrova così a trascorrere la maggior parte del tempo a pensare e ripensare al passato o a cercare di pianificare e prevedere il futuro per poter evitare ipotetiche esperienze spiacevoli.
La defusione, invece, promuove il contatto con il qui e ora, nella piena consapevolezza del momento presente, in modo da poter percepire cosa accade dentro e intorno a noi al fine di poter modulare il comportamento allineandolo con ciò che si vuole ottenere e con ciò che veramente conta per la persona. Il contatto con il presente permette anche di essere più flessibili nei confronti di ciò che sta accadendo, senza lasciarsi trascinare da ciò che era già accaduto e che si teme possa accadere nuovamente o da ciò che si teme accada in un secondo momento.
Cosa prevede la fusione
Come già accennato poc’anzi, essere fusi con i propri pensieri comporta che, anche quando si tratta di storie, immagini o pensieri angoscianti, spaventosi o preoccupanti, che comunque non fanno né bene né piacere, ci si fidi ciecamente di loro, trattandoli come verità assolute.
Questo comporta che, nel momento in cui attraversano la mente, si dà loro la più totale attenzione, vivendoli come qualcosa di importante, come una regola o un comando a cui obbedire in modo più o meno consapevole.
Ancora, può capitare di fondersi con un pensiero che ha il tono di una minaccia e allora si cerca di allontanarlo in ogni modo, anche finendo con l’evitare situazioni o contesti che potrebbero elicitare tale pensiero.
Si pensa, nel momento in cui ci si fonde con un pensiero, che esso corrisponda alla realtà e che, anzi, sia anche molto prezioso in quanto riesce a raccontare qualcosa della persona che lo pensa o della realtà che lo circonda, portando però a non provare nemmeno a metterlo in discussione, a cercare se ci sia qualcosa che lo confuta, non riuscendo a lasciarlo andare nonostante la sofferenza che comporta il tenerlo stretto a sé.
Cosa prevede la defusione
Lo scopo di queste tecniche è quello di imparare a valutare e notare la reale natura dei pensieri, riuscendo così a tenderli in considerazione solo se utili nel preciso momento in cui si notano, piuttosto che interrogarsi per cercare di capire quanto siano reali.
Lo scopo di questa pratica terapeutica, però, non è quella di liberarsi dai pensieri che arrivano, ma piuttosto di imparare a viverli per ciò che sono: parole e immagini che attraversano la mente e non certo la realtà. L’idea è quindi quella di smettere di lottare contro di essi, permettendo loro di arrivare liberamente per poi di scorrere via, senza darvi troppo peso, senza rimanervi ancorati.
In questo modo, ognuno di noi diviene così libero di potersi dedicare veramente a ciò che si ritiene importante e a ciò che permette di raggiungere gli obiettivi preposti, vivendo in armonia con i propri valori.
La defusione in pratica
Il protocollo ACT prevede svariate tecniche di defusione che permettono di imparare gradualmente a prendere le distanze dai propri pensieri, guardandoli un po’ più da lontano.
Prendere le distanze dai propri pensieri permette di vederli per ciò che sono, cosa che invece non è possibile nel momento in cui si è fusi con essi.
Per fare un esempio concreto: ti chiedo, caro lettore, di provare a mettere la tua mano molto vicina ai tuoi occhi e di notare cosa accade. Probabilmente, se non sapessi che si tratta della tua mano, non riusciresti nemmeno molto bene a identificarla come tale, talmente si trova vicina a te.
Ti chiedo ora di provare ad allontanarla gradualmente. Dovresti così poter notare che man mano la metti sempre più a fuoco, riuscendo a identificarne anche contorni e dettagli. Inoltre, finché la mano era molto vicina ai tuoi occhi, ipotizzo non riuscissi nemmeno a notare un gran ché di ciò che ti circonda.
Mentre ora, con la mano un po’ più distante, dovresti anche riuscire a percepire il contesto intorno, mettendo a fuoco anche il luogo in cui ti trovi e cosa ti sta intorno. Ecco! Hai appena toccato con mano, in modo molto pratico, cosa vuol dire essere prima fusi con un pensiero (vedi solo quello e nemmeno lo vedi poi così bene) e in seguito cosa significa defondersi da esso (riesci a vederlo veramente per quello che è e riesci anche a metterlo in relazione con il contesto in cui ti trovi).
Anche solo grazie a questo esempio, si può capire come le tecniche di defusione abbiano l’obiettivo di imparare a guardare i propri pensieri come osservatori dal di fuori, piuttosto che guardare le cose dal punto di vista dei pensieri, riuscendo a notarli come vanno e vengono, come se fossero nuvole nel cielo, permettendo loro di scorrere, senza doverli necessariamente prendere ed elaborare, pur nella consapevolezza di avere tali pensieri.
In ogni caso, ciò non implica che necessariamente lo stato d’animo della persona cambi: la defusione non ha lo scopo di far stare bene, nel senso di non provare emozioni negative, ma piuttosto di imparare a distanziarsi da prodotti mentali faticosi, per riuscire a guardarli in modo più distaccato, permettendosi così, notando anche il contesto, di valutare quanto quel prodotto sia o non sia utile al fine di raggiungere l’obiettivo.
Alcune tecniche di defusione
- Scrivere i pensieri su un foglio: per distaccarsi da un pensiero, può risultare utile metterlo per iscritto, così come viene, per poi valutare quanto sia utile in quel momento;
- Osservare i pensieri come nuvole nel cielo: provare ad osservare i pensieri che attraversano la mente come se fossero nuvole nel cielo, che arrivano, passano e si allontanano, limitandosi a guardarne il movimento;
- Osservare i pensieri sullo schermo di un computer: analogo al precedente, si può provare a immaginare che i pensieri compaiano su una pagina di testo, potendone così modificare grandezza, colore e carattere;
- Modificare la voce dei pensieri: provare a ripetere i pensieri con voci ridicole e scherzose può aiutare a togliere loro lo status di verità incontrovertibili e assolute;
- Ironia: salutare con ironia i pensieri spiacevoli ricorrenti che inibiscono e bloccano le azioni, può aiutare a vederli per quello che sono, nient’altro che parole e immagini di momenti passati o futuri (ad es. “Ancora tu? … ma quanto è vecchia questa storia?”);
- “Sto avendo il pensiero di…”: aggiungere prima del pensiero le parole “sto avendo il pensiero di …” o “la mia mente mi propone il pensiero di/che …” può aiutare a fare un passo indietro e riuscire ad osservare l’attività della mente con maggiore distacco, mantenendo così la capacità di ragionamento critico anche su quanto la mente propone.
La defusione nella gestione dell’ansia
Nel momento in cui l’ansia crea difficoltà, tutta l’attenzione della persona viene assorbita dall’ansia stessa e dai pensieri che genera, che tendenzialmente sono di carattere catastrofico e fallimentare, finendo con il diventare ansia, conferendole cioè lo status di verità assoluta.
La defusione permette invece di distanziarsi dall’ansia, riformulando i pensieri in modo da non farli sembrare una realtà di fatto (ad es. passando da “non ce la farò mai” a “sto avendo il pensiero che non ce la farò mai”).
Così facendo, prendendo cioè le distanze dal pensiero alla base del malessere, è possibile ridurre l’ansia provocata dal pensiero stesso.
Di <a href=”//commons.wikimedia.org/wiki/User:Srobodao84″ title=”User:Srobodao84″>Srobodao84</a> – <span class=”int-own-work” lang=”it”>Opera propria</span>, CC BY-SA 4.0, Collegamento
Occorre però ricordare che, nel momento in cui si prova ansia e si attiva anche tutto il correlato fisiologico della stessa, la defusione non farà scomparire il tremore, il battito cardiaco accelerato, il respiro più affannoso o qualsiasi sensazione si provi da un momento all’altro.
È importante però anche che la persona riesca a permettersi si distanziarsi anche da questo: tutte le sensazioni fisiche che si accompagnano all’ansia non sono pericolose e non possono portare danno, anch’esse, così come i pensieri, non sono nient’altro che sensazioni e, in quanto tali, sono momentanee e, così come sono arrivate, passeranno.
Bibliografia
- Harris R. (2011). Fare ACT. Franco Angeli: Milano Harris R. (2010). La trappola della felicità. Ericsson
- Hayes, S. C., Strosahl, K., & Wilson, K. G. (1999). Acceptance and Commitment Therapy: An experiential approach to behavior change. New York: Guilford Press.
- Herzberg KN, Sheppard SC, Forsyth JP, Crede M, Earleywine M, & Eifert GH (2012), The believability of anxious feelings and thoughts questionnaire (BAFT): A psychometric evaluation of cognitive fusion in a nonclinical and highly anxious community sample. Psychological Assessment, 24(4), 877–891
Articolo scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi psicologa e psicoterapeuta presso il centro di psicologia di Legnano