Cornice giuridica del danno biologico di natura psichica
La salute è un diritto fondamentale della persona e in quanto tale deve essere garantito costituzionalmente. L’O.M.S (Organizzazione Mondiale della sanità) ha da tempo sancito il concetto di salute nella sua natura totalitaria, non più come semplice assenza di malattia, ma identificandola come uno stato di benessere contraddistinto da un’omeostasi in termini fisici, psicologici e sociali. In tal senso l’individuo viene ad essere considerato nella sua complessità.
Per tali ragioni, in linea con tale evoluzione concettuale e al fine di promuovere una tutela omnicomprensiva del diritto alla salute così definito, l’approccio giuridico riconosce, oltre al danno propriamente patrimoniale (lesione di un interesse patrimoniale consistente sia in una diminuzione del patrimonio così come del mancato guadagno determinato dal fatto dannoso), il danno così definito non patrimoniale, previsto dall’art. 2059 c.c. Il danno non patrimoniale identifica quei pregiudizi a danno della persona derivanti dalla lesione dei propri diritti senza che vi sia alcun rilievo di natura economica.
Dottrina e giurisprudenza hanno compiuto un lungo percorso evolutivo che ha condotto ad un’iniziale elaborazione di tre categorie diversificate:
- Il danno biologico, attinente la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, che incide negativamente sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito. Nello specifico, la menomazione di ordine psichico consiste in una modificazione quantitativa e qualitativa delle componenti primarie della psiche, quali le funzioni mentali primarie, l’affettività, i meccanismi difensivi, il tono dell’umore, le pulsioni.
- Il danno morale, quale turbamento, sofferenza soggettiva cagionata da fatto illecito e in sé considerato di regola un reato. Questa tipologia di danno non incide sulla salute psichica, ma direttamente sulla dignità umana, primo valore costituzionalmente protetto dall’art.2.
- Infine, il danno esistenziale, che, ledendo altri diritti costituzionalmente tutelati, compromette la possibilità di svolgere le attività che realizzano la persona umana, quale ad esempio la lesione della serenità familiare, o del godimento di un ambiente salubre. In altre parole il danno esistenziale si avrebbe al di fuori delle altre due ipotesi, e sostanzialmente nel caso in cui un soggetto, pur non soffrendo dal punto di vista fisico e dal punto di vista psicologico, si troverebbe in una sorta di disagio o di difficoltà in seguito all’attività del danneggiante.
Tuttavia, gli attuali orientamenti giurisprudenziali, come riportato dalla Suprema Corte di Cassazione (Sent. Cas. nr. 26972/09, 26973/09, 26974/09, 26975/09), hanno stabilito che il danno non patrimoniale non sia suscettibile di divisioni in categorie, costituendo un modello unitario identificabile nelle compromissioni di natura non patrimoniale su un soggetto a seguito di un fatto illecito. La Corte di Cassazione tuttavia, pur contestando tale suddivisione categoriale, non esclude che la stessa possa essere adottata al fine di descrivere il tipo di danno non patrimoniale subito. In tal senso è possibile richiedere i danni non patrimoniali secondo la combinazione delle regole degli articoli 2043 c.c. e 2059 c.c., potendo altresì distinguerli in categorie per meglio evidenziarli, pur non stando a significare che il danno non patrimoniale sia suscettibile di tale divisione.
Va altresì rilevata la complessità di distinguere tali categorie in termini clinici, derivante dalla presenza di caratteristiche apparentemente simili tra loro. D’altronde, il paradigma psicologico è diverso da quello giuridico sia per quanto riguarda l’oggetto di indagine (l’individuo per la psicologia, il fatto per il diritto), sia per quanto riguarda lo scopo dell’indagine: la psicologia fa infatti riferimento alla valutazione dell’organizzazione di personalità e alle eventuali ripercussioni conseguenti ad un illecito, mentre il diritto guarda alla valutazione della certezza del fatto.
Ma in quali casi il danno non patrimoniale deve essere risarcito?
A rispondere è lo stesso articolo 2059 c.c., il quale afferma che “deve essere risarcito nei soli casi determinati dalla legge”, tradizionalmente individuati nei danni derivanti da reato (art. 185 c.p.). Laddove dunque si vogliano ottenere i danni non patrimoniali sarà necessario rilevare:
- che si è verificato un fatto (o meglio un atto), quindi un’azione o omissione, quest’ultima rilevante solo quando esiste un obbligo giuridico ad agire;
- che tale fatto ha provocato un danno secondo le regole del rapporto di causalità;
- che il soggetto era capace di intendere o di volere nel momento in cui il fatto è stato commesso;
- che il danno è stato provocato con dolo o con colpa (ma non nel caso di responsabilità contrattuale dove la colpa è presunta);
- che tale danno è ingiusto, indicando le specifiche norme di legge violate che prevedono un risarcimento del danno non patrimoniale, oppure l’interesse costituzionalmente garantito violato.
Laddove tutte queste condizioni vengano riconosciute (e sempre che non ci siano ipotesi di esclusione dell’antigiuridicità come la legittima difesa), si potrà ottenere non solo il risarcimento del danno patrimoniale, se presente, ma anche di quello non patrimoniale.
Centrale permane il concetto di salute ed il ruolo della consulenza tecnica per valutare gli aspetti psichici del danno biologico.
Il ruolo della Consulenza Tecnica d’Ufficio nella valutazione del danno di natura psichica
Per valutare la presenza e l’entità del danno di natura psichica, è necessaria un’analisi approfondita del soggetto, con aspetti metodologici che dovranno riguardare non soltanto i colloqui clinici, ma anche test di livello e proiettivi. Fondamentale, per questo tipologia valutativa, è il ruolo del Consulente Tecnico d’Ufficio, il quale deve accertare se il periziando ha subito una compromissione psichica, con conseguenti processi di adattamento non più equilibrati. Un punto centrale dell’accertamento è la metodologia adottata al fine di identificare i nessi causali e l’eventuale preesistenza o meno di disturbi psichici al fatto, in quanto permette di rilevare se vi siano o meno concause in riferimento al disturbo oltre all’evento oggetto di contestazione. Il danno psichico, infatti, si sviluppa secondo modalità causali sostanzialmente diversificate rispetto ai danni alla persona derivanti da lesioni fisiche, contraddistinti quest’ultimi da una tendenziale linearità oltre a rilevarsi in forme tangibili all’evento traumatico. Al contrario, in riferimento ai disturbi di natura psichica, la sequenza causale è tipicamente circolare con concatenazioni tipicamente concausali, fortemente influenzata dalla soggettività individuale.
La reazione ad eventi esterni è estremamente variabile da persona a persona, non solo su un fronte qualitativo ma altresì quantitativo, essendo fortemente influenzata dalla struttura personologica stessa del soggetto. Per tali ragioni, il consulente nominato deve procedere tramite un’accurata raccolta dei dati anamnestici, con annessa analisi dettagliata della documentazione clinica ed esame della atti in causa, al fine di accertare l’esistenza di patologia psichica in atto, con inquadramento nosografico attinente, e il nesso di causalità presente con il fatto contestato.
Risulta altresì focale valutare il livello di integrazione sociale, relazionale e individuale del periziando prima dell’evento “traumatizzante” e descrivere lo stato attuale dello stesso, il livello di compensazione e i meccanismi di difesa messi in atto dopo l’evento. Data la complessità nello stabilire con certezza la connessione causale tra un certo fatto ed un disturbo psichico, è necessario che lo psicologo esperto in psicologia forense faccia una corretta diagnosi differenziale al fine di inquadrare i sintomi all’interno di fasi solo attuali – dunque post trauma – o di fasi precedenti.
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