“Nessun metallo, neanche la scure del boia, è affilato quanto il taglio del tuo rancore. Nessuna preghiera arriva a smuoverti?” – Shakespeare, Il mercante di Venezia

Perdonare come primo buon proposito

Il 2019 sta per concludersi…il nuovo anno fa già capolino e noi stiamo per affacciarci sul nuovo decennio.
È tempo di bilanci!


Si faccia avanti chi, sul finire dell’anno, non ha mai ceduto alla tentazione di tirare “le somme” circa l’anno passato, passando al setaccio successi e delusioni, conquiste e perdite, nuove conoscenze e persone che ci hanno lasciato. È anche il periodo dei
buoni propositi per l’anno nuovo.


Proprio per questi motivi vorrei parlarvi di quello che potrebbe essere un primo e importante passo per affrontare al meglio il nuovo anno che sta per iniziare: il “
lasciar andare”, inteso come la capacità di perdonare.

Relazioni e offese


Noi uomini siamo biologicamente programmati per interagire con chi ci circonda, siamo esseri relazionali. Fin dalla nascita sperimentiamo il profondo bisogno di stringere relazioni significative e privilegiate (Bowlby, 1989). All’interno delle relazioni sperimentiamo amore, amicizia, affetto, gioia, fiducia e intimità.

Nelle relazioni sociali ci si mette in gioco, magari secondo gradi diversi, ma si mette sempre in campo qualcosa di sé, ci si apre all’altro e si accoglie ciò che l’altro rivela di se stesso.

Per stabilire una connessione bisogna avere il coraggio di esporsi. Da quanto detto, appare evidente come siano proprio le relazioni ad essere spesso la fonte di ferite dolorose. Inevitabilmente, nei contatti quotidiani che abbiamo con gli altri rischiamo che le nostre aspettative vengano deluse e, al contempo, di non riconoscere o di frustrare i bisogni altrui.


A quanti non è mai capitato di sentirsi offesi dopo aver scoperto di essere stati esclusi da una serata tra amici? Chi non ha mai sperimentato il dolore del venir trascurato/a dal partner? Non vi è mai successo di aver avuto bisogno di un amico o di un familiare e di non aver ricevuto il supporto sperato?


Questi piccoli esempi, che riguardano la quotidianità di ciascuno di noi, sono accomunati da un piccolo dettaglio: in ognuno di essi un qualche bisogno personale viene ignorato, disatteso (bisogno di affiliazione, bisogno di sentirsi amato e visto, bisogno di ricevere supporto…) e noi sentiamo di essere stati trattati ingiustamente. Persone differenti possono reagire in modo diverso a questi eventi: per un individuo, ad esempio, il venire escluso potrebbe essere particolarmente doloroso poiché, nel corso della sua storia di vita, ha appreso che nessuno gli fornirà mai la vicinanza e l’affetto di cui ha bisogno e che lui non è degno d’amore, queste convinzioni strutturatesi a partire dall’infanzia sono dette schemi maladattivi precoci (Young et al. 2007).

Questi schemi si formano quando, nel corso dello sviluppo, si sono affrontate esperienze avverse, traumatiche: si è stati maltrattati, trascurati, aspramente criticati, da piccoli non si ha avuto nessuno che fungesse da guida e supporto, che fosse in grado di ascoltare ed accogliere.

Come nei casi precedenti, anche qui alcuni bisogni fondamentali, come il bisogno di calore, vicinanza, supporto e amore incondizionato, vengono trascurati. Un aspetto fondamentale da tenere a mente (e che riprenderemo tra poco) è che, come ci ricorda Francine Shapiro (2013), quando nell’infanzia sono state le nostre figure di riferimento a ferirci, a trattarci in modo ingiusto, non lo hanno fatto per arrecarci un danno, ma perché probabilmente non conoscevano altre strategie per prendersi cura di noi (probabilmente hanno avuto dei modelli poco efficaci ed adeguati a loro volta).

Torto, rancore e…la possibilità del perdono

perdonarsiIn generale, quando qualcosa si frappone tra noi e il soddisfacimento dei nostri bisogni o il raggiungimento dei nostri obiettivi, ecco che entra in gioco un’emozione importantissima: la rabbia (André & Lelord, 2009).

La collera nasce proprio quando ci si trova di fronte ad un ostacolo, ci spinge a reagire. Se le nostre aspettative, i nostri bisogni più profondi e la nostra fiducia vengono disillusi sentiamo di aver subito un’ingiustizia, un torto.

Quando qualcuno ci ferisce di fatto con il suo comportamento ostacola il raggiungimento o il mantenimento del nostro benessere, non ci permette di soddisfare alcuni bisogni. Se si reputa l’azione dell’altro intenzionale ecco che subentra la collera, il risentimento e, talvolta il desiderio di vendetta (Molinari & Ceccarelli, 2007).


Spesso, chi è stato vittima di un torto continua a
rimuginare su quanto accaduto, alimentando costantemente le emozioni e le sensazioni disturbanti, oltre a rendere più probabile l’emergere di pensieri intrusivi legati all’offesa subita. Tutto ciò non fa che incrementare la sofferenza e lo stress sperimentato dalla persona. È proprio a questo punto che entra in gioco un’altra possibilità: il perdono.


Come notano Barcaccia e Mancini (2013), le persone più portate a perdonare godono di un
maggiore benessere psicofisico: la pressione arteriosa è più bassa, il sistema immunitario è più forte, dormono meglio e riportano minori livelli di stress, solitudine e depressione. Ma prima di tutto è importante approfondire meglio cosa si intenda con il termine “perdono”. 

Cos’è il perdono e cosa NON è

Partiamo con il definire in modo chiaro cosa NON sia il perdono. Perdonare non significa:

  • Dimenticare ciò che si è subito
  • Giustificare il gesto di chi ci ha danneggiato
  • Negare ciò che è accaduto
  • Minimizzare quanto successo
  • Ignorare l’offesa
  • Rassegnarsi e sottomettersi

Queste strategie non sarebbero funzionali per la vittima, che ha la possibilità di apprendere ancor meglio da quanto accaduto a tutelarsi e a gestire le relazioni interpersonali.


Il
perdono è un processo di rielaborazione, spesso faticoso (soprattutto quando siamo stati feriti profondamente), che porta dalla consapevolezza di aver subito un torto ad una nuova e più funzionale reinterpretazione del gesto (Barcaccia & Mancini, 2013).

La persona, attraverso il perdono, può riconoscere ciò che le è stato fatto, ma comincia anche a considerare i vari fattori che hanno portato l’altro ad emettere il comportamento. Questo non significa giustificare il gesto che ci ha ferito, significa però considerare l’altro come un essere umano, cercare di comprenderlo, di esplorare le motivazioni che possono averlo portato ad agire in un determinato modo, pur riconoscendo la sua responsabilità e continuando a non accettare di subire certe ingiustizie.

In questo modo, man mano è possibile lasciar andare le emozioni disturbanti legate al torto. Pian piano l’offesa, pur presente in memoria, comincia ad avere un impatto emotivo più contenuto sul presente. È evidente come l’empatia giochi un ruolo chiave in questo processo.


In alcuni casi, il perdono può portare a sanare fratture relazionali e a vivere rapporti più sinceri e soddisfacenti, lasciando andare il peso del passato.


Cerchiamo di capire meglio con un esempio:


Paolo è cresciuto con un papà molto severo e critico. A casa i rinforzi per ciò che andava bene erano rarissimi, mentre critiche e punizioni erano all’ordine del giorno. Paolo è cresciuto sforzandosi di dare il meglio per accaparrarsi l’amore paterno, senza riuscire mai a sentirsi abbastanza.

Oggi Paolo è un uomo adulto molto competente sul lavoro, ma che fatica a ritagliarsi degli spazi per sé, a causa dell’iperinvestimento nella professione. È consapevole di come l’atteggiamento del padre lo abbia ferito e lo ferisca tuttora sentirlo insoddisfatto del lavoro che fa, del suo stipendio, di come gestisce la sua vita. Tutto ciò lo porta a provare una forte rabbia verso il padre a causa  di come egli lo ha trattato fin da piccolo.

Questa collera si associa anche ad un forte senso di colpa. Passo dopo passo, Paolo può valutare gli atteggiamenti del padre che lo hanno ferito, entrare in contatto con la sua rabbia, dar spazio anche alla tristezza di quel bambino che si sentiva così indegno dell’amore del padre.

Tutto ciò permette a Paolo di incominciare il processo di rielaborazione del suo vissuto, per arrivare a comprendere anche i comportamenti del padre, uomo cresciuto in un contesto diverso, che desiderava ardentemente che il figlio potesse realizzarsi e tentava (con modi inadeguati) di spronarlo. Paolo può così lasciar andare quelle emozioni disturbanti così vivide, e, consapevole del suo vissuto, perdonare il padre, instaurando con lui una relazione più positiva.

Perdonare per far pace con ciò che ci è accaduto

È quando perdoniamo che abbiamo davvero fatto pace con il nostro passato. Perdonare permette di spezzare le catene con ciò che è accaduto.

Perdonare non è una debolezza, è un atto di coraggio. Il perdono non chiede di dimenticare, chiede che si entri in contatto con il dolore che abbiamo affrontato per elaborarlo e trarre insegnamenti utili per il futuro, si parla in questo caso di crescita post-traumatica (Shapiro, 2013).

Bibliografia sul concetto di perdono:

André, C. & Lelord F. (2009). La forza delle emozioni. Comprendere, esprimere e trasformare le nostre emozioni. Milano: Tea Edizioni.

Barcaccia, B. & Mancini, F. (2013). Teoria e clinica del perdono. Milano: Raffaello Cortina Editore

Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Molinari, E. & Ceccarelli, A. (2007). Il processo del perdono: Aspetti psicologici. Rivista di Psicologia Clinica, 3, 242-253

Shapiro, F. (2013). Lasciare il passato nel passato. Tecniche di auto-aiuto nell’EMDR. Roma: Astrolabio

Young, E.J., Klosko, J.S. & Weishaar, M.E. (2007). Schema Therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità. Firenze: Eclipsi

È quando perdoniamo che abbiamo davvero fatto pace con il nostro passato. Perdonare permette di spezzare le catene con ciò che è accaduto. Share on X
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