“Io non cambio: sono fatto così!”.
Quanto volte abbiamo pronunciato o sentito dire questa frase? Quanta verità si nasconde dietro a queste parole e quanto rappresentano invece una scusa per non cambiare? Ancora una volta la psicologia, in particolare la psicologia della personalità, prova a venire in nostro soccorso fornendoci spiegazioni a riguardo.
I teorici della personalità hanno proprio il compito di studiare gli individui in tutte le loro sfumature: le caratteristiche universali degli individui, quindi cosa li accomuna, e quali possono essere le differenze individuali che determinano l’unicità di ciascuna persona.
Personalità, temperamento e carattere sono tre concetti facilmente interscambiabili, tuttavia, pur riferendosi tutti al modo di essere dell’individuo hanno significati diversi.
Che cos’è la Personalità
La personalità viene definita come un’organizzazione di modi di essere, di conoscere e di agire (sentimenti, pensieri, comportamenti), caratterizzata da unità, coerenza, continuità, stabilità e progettualità. In linea con questa considerazione, Cloninger (1994) ritiene che la personalità sia il risultato di un’integrazione tra aspetti ereditari e neurobiologici più stabili nel tempo (temperamento) ed aspetti relativi all’apprendimento socio-culturale (carattere). Ecco, dunque, che temperamento e carattere possono essere considerati componenti essenziali della personalità.
Quando si parla di temperamento, ci si riferisce a quella parte innata della personalità, una predisposizione presente fin dalla nascita e determinata dall’eredità genetica. È considerata come la dimensione biologica e si manifesta attraverso le nostre reazioni emotive e comportamentali: istinti, impulsi, affezioni, inclinazioni, necessità.
Differenti temperamenti
Esistono differenti tipologie di temperamento, Cloninger, ad esempio, riconduce questo concetto a quattro dimensioni principali, a loro volta sottordinate:
- la ricerca delle sensazioni
- l’evitamento del danno
- la dipendenza dalla ricompensa
- la persistenza
La ricerca delle sensazioni è connessa a un alto livello di stimolazione e a un’inclinazione verso l’esplorazione e l’entusiasmo, con la tendenza ad annoiarsi facilmente e una propensione al disordine, all’impulsività e all’instabilità relazionale.
L’evitamento del danno è contraddistinto dalla preoccupazione per gli effetti delle proprie azioni e identifica l’indole opposta all’impulsività, in cui prevalgono aspetti come la forte sensibilità alle critiche, la cautela e l’apprensione.
La dipendenza dalla ricompensa comporta il timore per la reazione altrui al proprio comportamento. Si traduce in un’attitudine socievole e in una sensibilità ai segnali sociali.
La persistenza si manifesta con un atteggiamento perseverante e determinato, e implica una certa dose di ambizione e perfezionismo.
Nel 2006, gli psicologi John E. Bates e Mary K. Rothbart, nella concettualizzazione del temperamento, operarono una suddivisione dell’emotività in positiva e negativa e delinearono il concetto di autoregolazione, cioè la capacità del bambino di regolamentare le sue risposte espressive, sensoriali e motorie, di adattarsi alle richieste ambientali attraverso un processo di modulazione delle proprie condotte. Tali autori descrissero il temperamento come una struttura costituita da tre dimensioni:
- A- estroversione/disinibizione: indica la tendenza alla ricerca di stimoli nuovi e sensazioni particolari e l’impulsività;
- B- affettività negativa: si riferisce alla tendenza alla paura, al pianto e all’irritabilità;
- C- capacità di controllo/autocontrollo: corrisponde al controllo inibitorio, alla capacità di autoregolazione, autogestione e alla facoltà che ha il bambino di calmarsi in situazioni specifiche.
Che cos’è il Carattere
La teoria psicanalitica, e in particolar modo il contributo offerto dallo psichiatra statunitense C. Robert Cloninger, ha chiarito invece il concetto di carattere: quest’ultimo è, infatti, l’esito psichico delle interazioni di una persona con l’ambiente circostante (fisico, affettivo, sociale e culturale) e ha perciò natura temporale ovvero è meno stabile del temperamento.
Ciò significa che, diversamente dal temperamento, il carattere non è presente a priori “all’interno” di ciascun individuo, ma si forma per acquisizione durante l’infanzia e l’adolescenza, sebbene possa continuare a evolvere anche in età adulta in risposta a nuove esperienze.
In conclusione, pur essendo il temperamento inevitabilmente una struttura immutabile – in quanto innato e biologicamente determinato – ciò non significa che non vi sia margine di intervento sui propri atteggiamenti e sulle proprie modalità di reazione agli eventi.
Quanto afferisce alla sfera caratteriale è, infatti, modificabile. La predisposizione genetica non impedisce, quindi, che vi sia uno sviluppo personale frutto dalla capacità di ciascun individuo di plasmarsi ed evolvere in risposta alle esperienze della vita.
La psicoterapia rappresenta un efficace supporto per imparare a gestire meglio le reazioni emotive e a sviluppare un maggior controllo sui propri impulsi. Pensieri e comportamenti più funzionali possono essere appresi generando così maggior benessere sia personale che relazionale.
Per rispondere alla domanda iniziale, sì il cambiamento è assolutamente possibile, purché il soggetto sia motivato in tal senso!
Bibliografia
- Caprara G. V. e Gennaro A. (1994). Psicologia della Personalità e delle differenze individuali. il Mulino.
- Feldman R., Ciceri M.R. e Amoretti G. (2021). Psicologia Generale IV/e. McGraw Hill Education.
- “A Psychobiological Model of Temperament and Character”, C. Robert Cloninger, MD; Dragan M. Svrakic, MD, PhD; Thomas R. Przybeck, PhD
Articolo a cura della dott.ssa Serena Baj psicologa e psicoterapeuta.