“Caregiver” è un termine inglese che significa “colui che si prende cura”.
In Italia, si stima che siano oltre 8 milioni le persone che svolgono questo ruolo, assistendo a domicilio un familiare non autosufficiente, malato, disabile o anziano: un atto di grande amore e generosità, ma che può essere estremamente impegnativo.
Infatti, prendersi cura di qualcuno richiede spesso un coinvolgimento costante, un quotidiano investimento di tempo ed energie, talvolta sottratte alla propria vita privata e sociale; comporta responsabilità, pratiche ed emotive, a cui doversi attenere; significa occuparsi non solo della salute fisica del proprio caro, ma anche del suo benessere emotivo, trasmettendogli serenità, sicurezza, fiducia.
A volte, però, tutto questo supera silenziosamente un limite: perché dura da troppo tempo, perché a un tratto diventa troppo difficile, o quando, a volte, delegare ad altri risulta più faticoso che assistere.
Lo stress da caregiving
Lo stress da caregiving si manifesta quando le richieste e le responsabilità di questo ruolo superano le capacità di adattamento della persona.
L’elevato impatto emotivo e il perdurare nel tempo di una continua condizione di distress (stress negativo), rappresenta un fattore di rischio per quello che viene definito il “burden del caregiver”, ovvero il “peso, un carico” a cui si sente continuamente sottoposto chi è impegnato in relazioni di cura. Fino ad arrivare, come in un lento logorio, ad una sindrome con manifestazioni psicofisiche simili al burnout (“essere bruciati, esauriti, scoppiati”), un disagio psicologico caratterizzato da ansia, depressione e malessere fisico.
E’ una realtà comune, che può colpire chiunque, senza distinzione di età, sesso o condizione sociale, ma segnala una condizione da non sottovalutare, soprattutto quando alcuni sintomi persistono e interferiscono con la propria vita quotidiana.
In questi casi, è importante richiedere l’aiuto di un professionista.
Quali possono essere sintomi?
- Sintomi emotivi:Umore costantemente basso, perdita di interesse per le attività che prima davano piacere, sentimenti di colpa, rabbia, irritabilità, isolamento sociale, senso di inadeguatezza,
- Sintomi fisici: Stanchezza cronica o mancanza di energia, disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), cambiamenti di peso e appetito, peggioramento di patologie preesistenti o insorgenza di persistenti malesseri fisici.
- Sintomi cognitivi: Difficoltà di concentrazione e memoria, problemi a svolgere compiti quotidiani o a prendere decisioni, preoccupazioni continue per la salute della persona assistita e per il proprio futuro o pensieri intrusivi.
.Comportamenti di abuso di sostanze:ricorso ad alcol, droghe o farmaci per alleviare lo stress
Quali cause?
L’eccessivo burden può derivare da una combinazione di fattori, psicologici, sociali e ambientali:
- Difficoltà a conciliare tempo per sé e per i propri altri ruoli con il tempo della cura:
I caregiver spesso sacrificano i propri hobby, attività e vita sociale per concentrarsi sulle esigenze della persona che assistono. il tempo libero si riduce, l’isolamento aumenta, la quotidianità si riempie per lo più di piccoli rituali.
Inoltre, destreggiarsi e conciliare le responsabilità di cura con quelle lavorative o l’accudimento verso altri familiari (ad es. figli piccoli) può aumentare lo stress e la sensazione di inadeguatezza in entrambi gli ambiti.
- Isolamento emotivo e mancanza di supporto:
Sentirsi soli nel proprio ruolo di caregiver può peggiorare il burden: questo può accadere se c’è non vi sono altri familiari disponibili, se sussistono conflitti.. allo stesso modo si percepisce maggiore solitudine quando la patologia del proprio caro è poco comune o non si hanno riferimenti anche a livello sanitario.
– Senso di incertezza e paura:
Frequenti sono le preoccupazioni riguardo al futuro, alla progressione della malattia del loro caro, alla capacità di continuare a fornire assistenza, nonché riguardo la propria salute e il benessere futuro (“io non posso ammalarmi!”). In alcuni casi inoltre, assistere nella malattia una persona cara può portare a pensieri frequenti sulla mortalità e sul processo di morte, nonché ad aspetti riguardanti il cosiddetto “dopo di noi”, in particolare nel caso di genitori che assistono i figli.
- Problemi finanziari:
A seconda del livello di assistenza necessario, il costo di forniture mediche, farmaci o servizi di assistenza domiciliare può rappresentare un onere finanziario significativo; a volte, i caregiver si ritrovano a dover ridurre l’orario di lavoro o lasciare completamente il lavoro per prestare assistenza, con conseguenti generalizzati dubbi sulle proprie capacità, insicurezze sulla propria realizzazione personale, sulla percepita qualità di vita.
Esistono poi altre cause, altre variabili, che riflettono aspetti più intimi, più profondi del caregiver, e che, anche a fronte di una stessa situazione di asssitenza, determinano tante reazioni diverse quante sono le persone che la vivono.
Parliamo non solo di età, genere, livello culturale o contesto di riferimento, ma anche della singola persona, del suo modo di pensare, provare ed esprimere emozioni; delle singole storie di vita e dell’interpretazione e del significato che ciascuno di noi attribuisce a ciò che vive: chi è la persona che assisto? Che tipo di malattia ha? In quale preciso momento della mia vita sono diventato un caregiver?
Domande in apparenza semplici, ma è proprio qui che si nasconde il senso delle proprie fatiche e della propria sofferenza.
Prendersi cura di sé: una sfida per i caregiver
“Prendersi cura di sé stessi è il primo passo per affrontare lo stress da caregiving”: un monito tanto semplice quanto importante. Per prendersi cura di qualcuno bisogna prima prendesi cura di sé stessi. Spesso però la prima replica che nasce è ‘non si può, non ho il tempo per farlo’… Ma è realmente così, oppure qualcosa spinge a non farlo?
Molti caregivers faticano a legittimarsi spazi, sentendosi in colpa nell’allontanarsi, anche solo mentalmente o per poco tempo, dalla persona che assistono. E in altri casi ancora, soprattutto quando il caregiver è un coniuge o un fratello/sorella, rinunciano ad attività piacevoli, gratificanti (una vacanza, un’uscita di svago) perchè sapere che “lui/lei non può” scatena la cosiddetta “sensazione del sopravvissuto”, ovvero un sentimento misto di colpa e vergogna.
Difficile chiedere sostegno, o anche solo pensare di aver bisogno di aiuto: nella propria esperienza quotidiana, chi ha bisogno di aiuto è il proprio caro, …non “io”.
Eppure, riconoscere le proprie emozioni è fondamentale, ed è il primo passo per dedicarsi un’opportunità per stare meglio in una situazione così difficile.
Chiedere aiuto ad un professionista con cui intraprendere un percorso psicologico o una psicoterapia significa darsi spazio per parlare del proprio ruolo di cura, della persona che si assiste, per arrivare (e per ritornare) a parlare di sé, cambiando prospettiva e provando a ri-mettersi al centro.
Prendere consapevolezza dei propri vissuti e delle proprie emozioni, per sviluppare una maggiore comprensione della situazione e trovare nuove strategie per affrontarla, per vivere l’impegno dell’assistenza con un po’ più di serenità e, soprattitto, resilienza..
Bibliografia:
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- Schenin-King Andrianisaina P, Isaac C, Castillo MC, Januel D. Caregiver burden: From recognition to care. Soins Psychiatr. 2021 Mar-Apr;42(333):38-40
Autore
Fossati Marina psicologa psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo costruttivista. Iscritta all’Albo della Lombardia con il n° 03/11222. riceve a Saronno pressa la sede di via Ramazzotti, 20. Per chi fosse interessato è possibile prenotare un colloquio.