L’estate volge ormai praticamente al termine. C’è chi si appresta a rientrare a lavoro, chi è già rientrato, chi non ha mai staccato e c’è anche chi, tra i più giovani, ha iniziato il conto alla rovescia dei giorni che li separa dal rientro a scuola.
Culturalmente, si pensa al periodo estivo come a mesi felici, ricchi di attività, uscite, gite, vacanze e tanto divertimento, una sorta di risveglio entusiasmante dopo i mesi invernali. Anche la scuola finisce e sul calendario si segnano i giorni che mancano alla partenza. Eppure non per tutti questo è sinonimo di gioia e spensieratezza. Molte persone, infatti, si ritrovano a stare male non appena le giornate iniziano ad allungarsi.
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) non prevede una categoria diagnostica a se stante per identificare questo tipo di sofferenza, ma, all’interno dei disturbi inerenti l’umore, prevede una specifica definita “con andamento stagionale”per quanto riguarda modalità di stare male che sono ricorrenti e sempre nello stesso periodo dell’anno. Nonostante questo, tale specificatore, non viene applicato nel caso in cui il malessere, per quanto ricorrente, possa essere meglio spiegato da fattori psicosociali stressanti connessi a determinati periodi dell’anno. È questo il caso, ad esempio, di genitori il cui carico lavorativo aumenta in modo esponenziale nel momento in cui i figli sono a casa da scuola o anche di lavoratori stagionali, impiegati in determinati periodi dell’anno e disoccupati in altri.
Molto comune potrebbe essere il pensiero secondo il quale, in generale, durante l’inverno si è più tristi, mentre durante l’estate si è più felici. A questo proposito, anche il DSM-5 considera principalmente la prevalenza dell’andamento stagionale di tipo invernale, che “sembra variare in base alla latitudine, all’età e al genere.
La prevalenza aumenta a latitudini maggiori. Anche l’età è un forte predittore di stagionalità, e persone più giovani hanno un rischio maggiore per episodi depressivi invernali” (p.216).
Per quanto possa essere comprensibile una sofferenza di questo tipo nel periodo invernale, quando le giornate sono più corte, la luce solare più scarsa e il brutto tempo possa tenere più facilmente chiusi in casa, ci sono anche persone che iniziano a stare peggio in tarda primavera, per avere un picco di malessere proprio durante l’estate.
Alla fine dell’inverno, la primavera è sinonimo della vita che rinasce, con i suoi profumi e colori, con gli uccellini che cantano e i fiori che sbocciano. Ma c’è chi non ha voglia di uscire per godere di questo, c’è chi si sente male al solo pensiero di doverlo fare e vorrebbe solo rintanarsi ancora di più nel buio di se stesso per non pensare.
Ed è così che, mentre su Instagram compaiono foto di persone, amici e parenti, in giro per il mondo a divertirsi, c’è chi si ritrova nel buio della propria stanza a piangere e stare male. Non c’è invidia, ma solo malessere, dato dal fatto che lo spazio mentale per essere sereni e rilassati sia poco o nullo. In estate tutto rallenta, la scuola finisce e molti lavoratori si fermano. Ed è proprio questo, il fermo dalla frenesia di tutto l’anno, che può far sentire persi.
Ci ritrova con se stessi, molti pensieri e modi di sentirsi, sopiti e nascosti sotto attività routinarie, affiorano nuovamente, chiedendo ancora una volta di essere visti e affrontati. Quando poi non si riesce a vivere “come tutti gli altri”, con gioia e spensieratezza (perché è così che si DEVE essere d’estate, no?), si inizia anche a sentirsi sbagliati, diversi, fuori luogo, portando ulteriormente ad isolarsi. Questo isolamento, poi, aggrava ulteriormente proprio quel senso di inadeguatezza, solitudine, malinconia e vuoto.
Inoltre, l’avere un’attività ricorrente, sia essa scuola o lavoro, oltre che tenere impegnati mente e corpo, permette anche di percepirsi con uno scopo, un qualcosa da fare. Quando questo viene a mancare, si può iniziare a sentirsi apatici, con un tono dell’umore più basso, possono emergere difficoltà a dormire e mangiare, ci si può sentire costantemente agitati e inquieti.
Secondo alcuni studi, questa sofferenza potrebbe essere in parte imputabile proprio all’aumento della luce solare che, nonostante ad alcuni faccia stare molto bene, provocherebbe un aumento dei livelli di cortisolo, ormone legato alla percezione di stress, con conseguente alterazione dei livelli di serotonina, ormone legato alla percezione di benessere. Inoltre, l’aumento della luce, oltre che la modifica dei ritmi lavorativi, porta spesso anche ad un’alterazione dei ritmi circadiani, spesso non più regolari come nel periodo invernale, andando a contribuire proprio a quel senso di stanchezza, affaticamento e facile irritabilità.
Da non dimenticare è anche il momento storico in cui viviamo. Dopo due anni di restrizioni a livello sociale a causa della diffusione pandemica del virus COVID-19, avvenute principalmente durante il periodo invernale, a fronte di persone che d’estate non vedevano l’ora di uscire per potersi svagare e divertire, una larga fetta di popolazione si è ritrovata comunque chiusa in casa impaurita e timorosa per sé e per i propri cari, per non parlare poi del disagio che questo ha comportato sui più giovani. Sono stati infatti loro ad averne risentito più di tutti gli altri: durante gli anni di massimo bisogno di esperienze a livello sociale, si sono trovati costretti in casa, faticando a sviluppare proprio tutta una serie di competenze relazionali necessarie. Ed è così che molti ragazzi, nonostante la voglia non manchi, si ritrovano chiusi nella propria cameretta, terrorizzati dal mondo esterno, bloccati nel loro desiderio di fare esperienze nel mondo, perché, al solo pensiero di stare in mezzo ad altre persone, si sentono andare nel panico.
Per quanto, forse, cercare di fare finta di nulla possa sembrare la soluzione più facile, il provare a nascondere il disagio che si sente con l’arrivo della bella stagione può solo portare a stare ancora peggio, sentendosi sempre più inadeguati e sbagliati.
Se non ci si sente di voler fare festa, se il sole, il caldo e l’idea delle vacanze non rendono felici, va bene così. Come tutti gli stati emotivi, anche questi, per quanto non piacevoli, hanno il loro senso di esistere e cercare di accoglierli e comprenderli potrebbe aiutare.
Bibliografia:
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Articolo scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi psicologa presso il centro di psicologia di Legnano