“Grazie a Dio nella vita tutto passa in fretta
Anche l’affanno,
Anche l’amore”
Relazioni, il campo del coraggio
Quando costruiamo un rapporto ci sveliamo all’altro, decidiamo di entrare in contatto con una persona che è altra da noi.
All’interno di una relazione amorosa possiamo condividere ricordi, pensieri, emozioni ed esperienze; tuttavia, l’altro rimane sempre altro. Nonostante ci sembri di conoscerlo come le nostre tasche, nonostante ci sembri di cogliere la sua delusione dalla lieve inflessione del labbro, nonostante ci paia di indovinare le sue preoccupazioni dalla ruga in mezzo alla fronte o la sua felicità dall’arricciarsi del naso, rimane sempre qualcosa di impenetrabile. In amore, salvo situazioni non sane, si ama l’altro in quanto diverso da sé, in quanto essere umano unico e libero, dotato di una propria mente e di un suo personalissimo mondo interiore.
Eppure tutto questo comporta un rischio non indifferente, a cui (giustamente!) acconsentiamo con coraggio quando costruiamo un rapporto: all’interno della relazione ci si affida all’altro, a qualcuno che è libero di scegliere se farsi carico di questo dono e se accordarci a sua volta la sua fiducia.
In un rapporto confidiamo profondamente nel fatto che l’altro ci rinnoverà la sua promessa di amore, trasparenza, fedeltà, ma non possiamo esserne certi, scegliamo di fidarci.
Capita che anche relazioni basate su rispetto, trasparenza e fiducia reciproca arrivino al capolinea. La fine di un amore è un’esperienza dolorosa ma condivisa.
Per quale motivo Soffriamo alla fine di un amore?
Il dolore alla fine di un rapporto d’amore è qualcosa di assolutamente naturale.
Se soffriamo dopo la fine di un rapporto non significa che siamo scarsamente indipendenti, poco autonomi, emotivamente immaturi, significa solo che siamo umani e in quanto umani abbiamo bisogno degli altri, di relazioni privilegiate, di legami di attaccamento.
Una questione di attaccamento e fiducia
Fin dalla nascita i nostri comportamenti appaiono orientati da un bisogno indispensabile: quello di avere una figura di riferimento supportiva con cui instaurare un rapporto privilegiato e che sia in grado di prendersi cura di noi con affetto e calore (Bowlby, 1989). Ecco cosa si intende con il termine attaccamento.
Questo bisogno riguarda tutti noi e ci accompagna per tutta la vita. Quello che cambia è la natura del legame che da verticale, ovvero un legame caratterizzato da uno “sbilanciamento”, in cui una figura competente si prende cura di un’altra (rapporto caregiver-bambino), diventa progressivamente orizzontale.
Le relazioni di coppia sono (o meglio dovrebbero essere) relazioni di attaccamento orizzontali; ciò significa che entrambi i partner sono in grado di prendersi cura dell’altro, di accogliere le richieste di vicinanza e di conforto, di dimostrare affetto e aprirsi all’intimità (Attili, 2004).
Affinché ciò sia possibile è indispensabile vi sia fiducia. La stessa fiducia nelle relazioni che si apprende a partire dai primissimi anni di vita, quando le risposte delle mie figure di riferimento alle mie richieste mi insegnano che posso affidarmi agli altri, che se ho bisogno saranno pronti a fornirmi supporto e contenimento, perché io sono per loro importante e degno d’amore. Grazie alla fiducia è possibile costruire relazioni positive, senza il timore della vicinanza emotiva.
Quando la relazione si interrompe
Alla luce di quello che abbiamo detto, appare più comprensibile la sofferenza quando vi è una rottura relazionale. Di fatto perdiamo un punto di riferimento, perdiamo chi rispondeva al nostro bisogno innato e biologicamente determinato di attaccamento, chi ci forniva vicinanza e supporto.
Non solo la fine di una relazione comporta anche il dissolversi di progetti comuni riguardanti il futuro, l’interruzione di routine e modi di rapportarsi al mondo circostante: se prima, anche quando non fisicamente presente, tenevamo conto dell’altro nell’operare decisioni e comportarci, ecco che ci troviamo a ricalibrare il nostro modo di pensare e “pensarci”.
Quando la rottura giunge repentina e violenta per uno dei due partner, ecco che il dolore può farsi lacerante e disorientante.
“Tra noi è finita”
“Sento di non amarti più”
“Credo sia il momento di mettere un punto”
“Devo confessarti che ho un’altra relazione”
Quando queste frasi giungono inaspettate, il senso di abbandono e disorientamento può sembrarci intollerabile.
Il trauma dell’abbandono improvviso
Quando si viene lasciati senza preavviso ci si sente ingannati e traditi proprio dalla persona da cui ci si aspettava amore, sicurezza e protezione, la persona che rappresentava una “base sicura” (Bowlby, 1989).
Lindemann (1944) parla del trauma relazionale come di un imprevedibile e incontrollabile sconvolgimento dei legami di affiliazione, dei rapporti intimi basati sulla fiducia e la cura (i legami di attaccamento).
Questa definizione sembra descrivere in modo preciso ciò che accade nel caso di un abbandono inaspettato.
La rottura relazionale può in questo caso costituire un vero e proprio trauma, determinando una frattura all’interno della storia di vita dell’individuo.
Cosa può accadere in seguito ad un’esperienza traumatica?
- Sensazioni di smarrimento, solitudine, impotenza. Può essere che sembri di non poter far nulla per fronteggiare la situazione, si è invasi da un forte senso di sopraffazione.
- Impossibilità di provare emozioni positive. Il trauma riduce la nostra possibilità di connetterci con sensazioni positive. Di fronte alla perdita della relazione, dei nostri progetti, dell’altro si prova tristezza e disperazione.
- Sentimenti di distacco. Talvolta le emozioni e la sofferenza sono talmente sovrastanti che è possibile che si sperimenti un senso di estraniamento dal sé e dalla realtà: può sembrare di vivere in un film, che si tratti di un incubo, che non possa essere reale (derealizzazione) o avere la sensazione di osservare ogni cosa dall’esterno, come se si fosse estranei al proprio corpo e alla propria esperienza (depersonalizzazione). Per una approfondimento di questi temi si rimanda all’articolo: “Derealizzazione e depersonalizzazione: “Sta succedendo a me? Sono io? Tutto ciò è reale?”. Dare un significato ai sintomi dissociativi.”
- Aumento della reattività. Il dolore può tramutarsi in rabbia, risentimento. Come sottolinea de Zulueta (2009) la violenza può essere frutto di un trauma: la rabbia attiva il sistema nervoso simpatico, produce una scarica di adrenalina, restituisce la sensazione di poter fare qualcosa. In breve, la rabbia permette di uscire dall’umiliazione, dalla vergogna e dall’impotenza.
- Modificazione delle credenze di base e sviluppo di convinzioni negative. Il tradimento da parte di una persona amata mina la fiducia nelle relazioni. È possibile che la rappresentazione degli altri come di persone affidabili venga compromessa: si può iniziare a pensare che gli altri abbiano a cuore solo i propri interessi e che siano propensi a ferirci. È possibile, inoltre, che la persona cominci a percepirsi come di scarso valore e non degna d’amore (schemi di base relativi al sé). Questa credenze circa se stessi, gli altri e le relazioni possono determinare un ritiro, come se non ci fosse più possibilità d’amore e d’affetto.
Relazioni riparative: riaprirsi all’amore
Eppure, così com’è possibile un cambiamento “in negativo”, conseguente ad esperienze traumatiche, delle nostre credenze di base e del nostro modo di interpretare ciò che ci circonda, è possibile riaprirsi alle relazioni e alla fiducia.Non è facile parlare di apertura quando si è stati traditi, quando ci si è sentiti totalmente indifesi e soli, ma così come delle relazioni possono ferirci, altre possono aiutarci a sanare le nostre ferite.
Se un’esperienza relazionale negativa ha plasmato il nostro modo di guardare noi stessi e gli altri, abbiamo bisogno di sperimentarci in rapporti che possano basarsi sul rispetto, la vicinanza calda, l’accoglienza.
Quando ci si riferisce a relazioni che ci permettono di modificare le nostre credenze di base che portano sofferenza, immobilità e comportamenti disfunzionali parliamo di relazioni riparative (Liotti & Farina, 2011). Qualsiasi relazione può costituirsi come relazione riparativa se basata sul confronto cooperativo, l’affetto, l’accettazione. Tuttavia, talvolta si è così paralizzati che qualsiasi tentativo di stabilire l’intimità è impedito. In questo caso è possibile chiedere un aiuto all’interno di un percorso di psicoterapia.
In terapia si mettono in luce le convinzioni bloccanti che impediscono di tornare a vivere relazioni sane ed appaganti, ancorando la persona ad emozioni soverchianti o a reazioni difensive poco funzionali.
Tali credenze vengono ricollegate alla storia relazionale e di vita e, insieme al terapeuta, passo dopo passo, si cerca di significare il proprio vissuto in modo nuovo, così che quello che è stato possa smettere di influenzare il presente.
Man mano, con il procedere del percorso, si affinano le abilità di gestione delle emozioni disturbanti e ci si apre alla possibilità di risperimentarsi, scegliendo sulla base dei propri bisogni, contesti amorevoli, supportivi, sani.
Anche dopo una serie di esperienze negative è dunque possibile tornare a fidarsi ricordando che:
Non esistono relazioni in cui non veniamo delusi, ma esistono rapporti in cui le persone coinvolte si impegnano a considerare il punto di vista e il vissuto dell’altro, a comunicare, a riconoscere le proprie responsabilità e a fare del proprio meglio per riparare alle rotture relazionali.
Ecco le relazioni in cui vale la pena riporre la propria fiducia.
BIBLIOGRAFIA:
- Attili, G. (2004). Attaccamento e amore. Cosa si nasconde dietro la scelta del partner? Bologna: Il Mulino.
- Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore.
- De Zulueta, F. (2009). “Dal dolore alla violenza. Le origini traumatiche dell’aggressività”. Milano: Raffaello Cortina Editore
- Lindemann, E. (1944). “Sympomatology and management of grief”. American Journal of Psychiatry, 101, 141-149
- Liotti, G., Farina, B. (2011). Sviluppi Traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano: Raffaello Cortina Editore
Articolo scritto dalla dott.ssa Verdiana Valagussa Psicologa e psicoterapeuta presso la sede di Saronno del Centro Interapia
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